Il protagonista di Good-Bye Lenin è un ragazzo dalla faccia pulita e mobile, una scheggia di una realtà traballante e malandata che organizza un'imponente messa in scena,complice dell'aiuto di un furbo collega cinefilo. La Germania Democratica, verità e illusione, è una cella all'aria aperta che non concede nulla alle finte trasgressioni, alla stucchevolezza di personaggi falsamente incisivi, ma può accompagnare e dirigere una straordinaria opera di fantasia e di amore, l'amore che unisce un giovane discreto e riflessivo alla madre, una pasionaria di cui Becker ci offre un ritratto surreale, pittoresco e vivido insieme. Surreale ma credibile quando ci si sofferma sul rigore delle sue pratiche, del suo viso imbalsamato in un quadro di perfezione irraggiungibile dal quale affiora un sorriso dolce e mesto, sul suo incedere solenne in un mondo trasformato, di confine, che esplode nel disordine gioioso e deluso di una "controrivoluzione" rivelando le sue voragini e i suoi piccoli tocchi di miseria. Miseria tra i casermoni squadrati delle periferie di Berlino, sugli abiti smessi che la sorella maggiore del protagonista non vuole più indossare, nell'entusiasmo bruscamente ridimensionato per l'ascesa del capitalismo. Berlino diventa un luogo estremamente affascinante, nella sua ibrida natura ben rappresentata dai locali musicali semidistrutti che circondano a effetto i sogni e gli smarrimenti dei suoi figli, in cui un campo lungo ritrae il ragazzo e la sua innamorata, una infermiera russa pragmatica. Tra loro anche una bambina, la nipote della protagonista, i cui primi passi spingono la donna ad alzarsi dal letto e a intraprendere una passeggiata sonnambula e un po' onirica tra quelle strade che le sono proibite. Mentre gli occhi della donna convalescente, gelidi e mansueti, si aggirano nel nuovo mondo, la macchina prepara una sovraesposizione di piani esatta in cui ci sembra quasi che la statua di Lenin, il cui busto sradicato viaggia appeso ad un elicottero a bassa quota, tenda la mano nera e granitica alla sua esterrefatta seguace. Non farà altro che seguire quella mano, quella strada inesistente, quando il suo cuore debole cederà al peso di un passato sbagliato e ricostruito, all'intuizione di quella messa in scena e alla sua inadeguatezza ad una nuova apertura al mondo, un mondo vario in cui i suoi figli si sono già addentrati.
Un film che ci fa riflettere su quello che avrebbe potuto essere il socialismo reale e che invece non è stato. Ma anche su quello che è il capitalismo, con tutte le sue brutture, distorsioni ed esagerazioni.
Un film politico dal volto umano, umanissimo. Ma anche un film godibile, che si fa vedere fotogramma per fotogramma.
Le statue hanno sempre significati simbolici. La statua di Saddam che veniva abbattuta dagli americani, che bellezza. La statua di Lenin svolazzante nel cielo di Berlino, che bellezza. La storia si ripete. Ed anche le vicende umane condizionate dal sistema politico e sociale. Ma che bello vedere ribaltata la Storia. I rifugiati occidentali e' la piu' bella idea. Genialità, of course. Film da vedere. Che fa pensare il diverso. E se fosse il socialismo possibile??
Ed anche lo sguardo della madre al figlio.. che tenerezza!!
In un contesto epocale come quello del crollo del regime, si svolge a Berlino un dramma umano e famigliare. A parte qualche perplessità (più che altro in merito alle cose non dette) ho trovato il film decisamente interessante, tanto da poterlo consigliare ai lettori di questa rubrica. In particolare mi ha colpito l'aspetto della finzione, usata sempre in funzione protettiva, sia nei confronti dei figli per la madre che viceversa. Per stimolare la curiosità degli spettatori pongo le seguenti domamde: La madre è davvero come vuol sembrare, cioè una convinta militante di partito oppure finge, come del resto confessa di avere fatto durante il ricovero in clinica? In questo contesto può aver deciso di schierarsi con il potere semplicemente per proteggere se stessa e i figli dalla repressione che la famiglia subisce dopo la fuga del marito? Infine è consapevole o no della farsa che le è stata creata attorno? Certo è che la (amorevole)finzione organizzata dal figlio per il suo ritorno a casa (mantenere il socialismo in una stanza) rende la storia alquanto gradevole e sicuramente originale.
Bello, ma non al livello di un capolavoro.... Per troppo tempo (1h 18 min 40 sec!) il film ruota attorno ad un'unica idea che, per quanto originale essa sia, una sola è ed una sola rimane. Poi accade la svolta ed il film decolla.
Nella prima ora, diciotti minuti e 40 secondi, il film ricorda i modi del Nanni Moretti un po' monotono: contenuto impegnato, un modo di narrare di buona qualità (privo di scadimenti ma anche privo di quelle punte che toccano nel profondo) ed un filo conduttore intelligente che però resta -tutto sommato-unico e quindi prevedibile(paragoni: la malattia di Moretti in "Caro Diario", la morte del ragazzo nella "Stanza del Figlio")..
Bisogna riuscire a trattenersi dal dar giudizi "ad interim" tra il 60° minuto ed 78° minuto. Chi ci riesce viene poi ampiamente compensato.