Dopo il grande successo di “Easy rider” nel 1969, Dennis Hopper e Peter Fonda decisero di separare le loro strade artistiche dando concretezza a due progetti individuali. Il primo realizzò “The last movie”, caotico ma interessante e visionario tentativo di metacinema, che non ebbe alcun successo di pubblico, col risultato di farsi allontanare per una decina d’anni da Hollywood. Il secondo portò a compimento un progetto che partiva da una sceneggiatura di Alan Sharp (autore seminale dell’American Renaissance, non fosse altro per lo straordinario script di “Night moves” di Arthur Penn). Il risultato fu “The hired hunt”, un western crepuscolare che Fonda diresse oltre che interpretare, nel 1971. La versione restaurata di questo film è stata presentata a Venezia come evento speciale alla presenza dell’autore. Rivisto oggi, il film costituisce una piccola delusione. A parte la maestria cromatica di Wilmos Zsigsmond che lavora sull’azzurro del fiume e del cielo con una fotografia che tende all’”overplanning”, ma che comunque non sempre risulta funzionale all’assunto della trama, si salva ben poco : l’interpretazione , come sempre dolente e malinconica di Warren Oates, vero fulcro della narrazione e qualche spunto grottesco della sceneggiatura che non viene però approfondito (il cadavere trovato nel fiume). Ma quello che maggiormente delude è la regia di Fonda, che tentando un approccio per niente tradizionale al ruolo, tende a saturare il film e a renderlo indigesto.