Omen - Il Presagio
L'Anticristo, Satana, il Grande Tentatore, il Signore delle tenebre; sono soltanto quattro diversi modi a cui spesso si ricorre per dare un nome alla medesima, blasfema entità: il maligno.
Ma, a partire dal 1976, anno in cui Richard Donner diresse "Il presagio" (in originale The omen), su sceneggiatura di David Seltzer, esso è identificabile in una nuova figura: quella di Damien, neonato la cui mamma è deceduta al momento del parto e che viene quindi affidato da Padre Spiletto, sacerdote dell'ospedale, all'importante diplomatico americano Robert Thorn, addolorato per la morte del bimbo che sua moglie Kathryn portava in grembo. E la vicenda del diabolico e sanguinario Damien, cresciuto da moglie e marito senza che la prima sapesse che si trattasse di un figlio non suo e senza che entrambi fossero al corrente della sua reale natura malefica, ha finito prima per trasformarsi in una trilogia, poi per generare un quarto capitolo destinato al piccolo schermo. Abbiamo infatti avuto modo di vedere un Thorn adolescente nel violento "La maledizione di Damien" (1978) di Don Taylor e la sua versione adulta nel poco riuscito "Conflitto finale" (1981) di Graham Baker, poi rimpiazzato dalla piccola ed altrettanto demoniaca "Delia in Omen 4 - Presagio infernale" (1991), diretto a quattro mani da Jorge Montesi e Dominique Othenin-Girard.
E chi avrebbe mai potuto pensare che quello di John Moore, reduce dalle imprese coatto-avventurose de "Il volo della Fenice" (2004) e da sempre distante dal filone orrorifico, sarebbe stato il giusto nome a cui rivolgersi per portare sullo schermo una riuscita rilettura del classico di Donner, conservandone comunque la lenta narrazione?
L'avvio di "Omen - Il presagio", penalizzato anche da un doppiaggio che lascia a desiderare, rischia facilmente di far storcere il naso allo spettatore, soprattutto nel momento in cui viene tirata in ballo una pirotecnica sequenza, assente nel film del 1976, degna di un qualsiasi Final destination (saga sicuramente ispirata a quella di Omen). Mentre i fotogrammi continuano a scorrere sullo schermo, invece, ci rendiamo sempre più consapevoli del fatto che Moore, grazie anche allo script dello stesso Seltzer, sia riuscito nella non facile impresa di trasferire fedelmente la storia dell'apparentemente innocente Damien, ora con il volto di Seamus Davey-Fitzpatrick (l'originale Harvey Stephens, oggi trentaseienne, compare in un cammeo), nel nuovo millennio, attualizzandone le tematiche, ma senza intaccarne lo spirito originale.
Liev Schreiber (The manchurian candidate) e Julia Stiles (Save the last dance) sostituiscono i compianti Gregory Peck e Lee Remick nei panni dei coniugi Thorn, mentre l'ambigua bambinaia Baylock, originariamente interpretata da Billie Whitelaw, ha ora le fattezze della grande Mia Farrow, la quale, per ironia della sorte, ha tutta l'aria di essere accorsa appositamente per accudire il suo Rosemary's baby.
I momenti caldi del lungometraggio di Donner, tra cui quelli che vedono protagonisti inferociti cani e scimmie, l'impressionante impalamento di padre Brennan ed il suicidio della prima governante del bambino, il quale ha sostituito il triciclo con il monopattino, vengono riproposti in maniera più o meno fedele, come pure la grigia atmosfera, splendidamente enfatizzata dalla bella fotografia di Jonathan Sela ed ulteriormente accentuata dall'ossessiva presenza della pioggia. Ma, al di là degli eccellenti effetti splatter e di tutt'altro che indispensabili sequenze oniriche volte allo spavento tramite il tipico ricorso all'alternanza dei piani sonori, l'elemento che maggiormente incuriosisce di questo Omen 2006, che vede anche il nostro Giovanni Lombardo Radice (lo ricordate negli horror di Fulci, Margheriti e Soavi?) impegnato a ricoprire il ruolo di Padre Spiletto, è la rielaborazione dell'originale discorso riguardante la nascita del figlio del diavolo legata al mondo della politica, cui vengono associati segnali premonitori identificabili in tragedie appartenenti al nostro quotidiano vivere, come l'11 Settembre, le catastrofi atmosferiche e la morte del Papa: osservazioni che gli conferiscono, contemporaneamente, l'affascinante aspetto di allegoria relativa ai cattivi tempi moderni e di remake horror estremamente adulto (dimenticate le snaturate riletture per teen - agers del calibro di The fog - Nebbia assassina e simili). Anche se l'epilogo, comunque identico a quello del capostipite, finisce per assumere (involontariamente?) i connotati di una grottesca frecciatina anti-Bush; siamo sicuri che il Moore che lo ha diretto sia John e non Michael?

La frase: "Siamo alle soglie di Armageddon: il male più oscuro si sta avvicinando e cercherà di sopraffare le nostre anime"

Francesco Lomuscio

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