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Midnight Special











Jeff Nicholson torna dopo aver incantato Cannes con “Take Shelter” e questa volta prova a conquistare la Berlinale, ma ci riesce soltanto in parte. “Midnight Special” è un buon film fantascientifico che strizza l’occhio per citazioni a Spielberg: come si fa a non vedere E.T nel piccolo protagonista Alton? Il bambino è interpretato, e anche bene, dal semisconosciuto Jaeden Lieberher, mentre il cast è completato dall’attore feticcio Michael Shannon, Joel Edgerton e la sempre affascinante Kirsten Dunst. Una parte piccola e inedita per Adam Driver, che dopo essere diventato il cattivo più odiato della saga di Guerre Stellari qui è un analista dell’NSA davvero improbabile dato che fa la parte dell’idiota.
Il film è molto curato dal punto di vista della fotografia e la sceneggiatura è funzionale a raccontare un'unica grande storia, quella di Alton e dei suoi genitori. Il padre e la madre sono agli antipodi: lui è pronto a tutto pur di proteggerlo e tenerlo vicino a sé, mentre lei comprende che prima o poi dovrà lasciarlo andare in un corso narrativo che ricorda fin troppo quello del capolavoro spielberghiano.
“Take Shelter” e “Mud” erano stati due film pronti a giocare sulle emozioni in cui il regista riusciva a sfruttare in modo ottimale l’emotività dei propri attori e qui riesce a ripetere la medesima operazione. Non a tutti può piacere questo genere, ma se lo spettatore si lascia prendere e trascinare dalla storia non può restare deluso.
Il racconto è un continuo senso di mistero che alla fine si trasforma in meraviglia, esattamente come Spielberg fa ormai da una vita nei suoi film. La fuga on the road con cui inizia il film lascia già presupporre che ci sarà uno script verticale, che usa la fantascienza solamente come background non entrando apertamente nel genere e lasciando aperte molte domande nel finale che è il vero punto interrogativo.
Un cast così in stato di grazia e in grado di rendere al meglio dall’inizio alla fine avrebbe forse meritato una scrittura migliore nel suo epilogo e man mano che le tessere del puzzle prendono forma la meraviglia che ci lascia è sempre meno positiva e non possono bastare le musiche in stile Carpenter per rendere meno forte la sensazione di ciò che poteva essere e non è stato.
L’opera parla più nei momenti di silenzio che nei dialoghi, con Shannon che ricorda tantissimo il Matthew McConaughey di “Mud”.
Nichols piace perché, pur tentando la via di un genere forse differente dal passato, resta fedele a se stesso ed è riuscito a commercializzarsi senza perdere la propria essenza.

a cura di Thomas Cardinali

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