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L'uomo di casa
E' passata in sordina (e forse giustamente) l'apparizione di Tommy Lee Jones in una pellicola della (magra) estate italiana, "l'uomo di casa".
L'attore texano, che ha riscosso il favore di pubblico e critica alla 58° mostra del cinema di Cannes con "Le tre sepolture" (per il quale ha vinto anche il riconoscimento come miglior attore), si presta qui a una piuttosto banalotta operazione commerciale, adattando la sua classica interpretazione seriosa (alla Man in black, per intenderci) come contrappunto alla goliardia del resto dello script.
Tutta la pellicola, infatti, si gioca su contrappunto tra questo inflessibile Texas Ranger e le sei cheerleaders che deve tenere in custodia in quanto testimoni di uno scomodo caso.
Non occorrerebbe dire che i due stereotipi caratteriali, una certa stupidità adolescenziale da una parte, un'ottusa caparbietà e severità dall'altra, finiranno con l'attrarsi e lo stemperarsi, dando vita ad uno degli happy-ending più prevedibili della storia delle immagini in movimento.
La pellicola offre il suo lato migliore nell'icipit, quando una sapiente miscela di azione e autoironia fa pensare per un attimo che proprio questo potrebbe essere il film rivelazione dell'estate.
Le promesse vengono ben presto disilluse, a partire dall'introduzione del gruppo di ragazze che contribuiscono a far rientrare quel che di buono si era intravisto nei ranghi della assoluta mediocrità da commediola di mezza estate.
La regia è impalpabile, fotografia e montaggio ai limiti della noia.
Un film (fatto salvo per il comunque bravo e simpatico Tommy Lee Jones), dispiace dirlo, del tutto superfluo
Pietro Salvatori
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