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Magnifica presenza











La verità pacifica il passato, liberandolo da un'incompiuta cristallizzazione. Nella metafora di "Magnifica presenza", film dedicato a diversi nomi, un album del Risorgimento viene completato proprio grazie ai fantasmi, i quali finalmente se ne vanno lasciando in dono la figurina numero uno, la più difficile da trovare: quella di Giuseppe Garibaldi. Dall'Unità all'oggi, passando per il buco nero del Ventennio, Ferzan Ozpetek - oltre che regista, sceneggiatore insieme a Federica Pontremoli (già collaboratrice di vari cineasti, specialmente Nanni Moretti) - sintetizza anche alcune sentenze politiche. Avendo queste come riferimento, il privato della solitudine e della casa sono le condizioni di accesso ad un'altra dimensione che, al confine tra sonno, specchi e svenimento, consiste in un salto indietro nel tempo. Protagonista ne è un personaggio semplice, timido e puro, che ha avuto un padre contrario alle sue aspirazioni.

Con un gusto barocco per contesto e figure di contorno, l'omosessualità si conferma tematica narrativa costante dell'autore italo-turco, qui attraverso un giovane dall'orientamento sessuale indefinito ("non riesco ad essere gay, figurati se riesco ad essere eterossesuale"), un innamoramento maschile vissuto come fissazione, un trans dalla sensibilità complice, un attore attivo sotto il Fascismo e quindi obbligato alla rimozione delle proprie tendenze.
Disseminata qua e là di felici istantanee d'ilarità (la battuta sul sesso "braille", i fornai-migranti che continuano a lavorare a testa bassa senza ascoltare il collega, la spiegazione dell'attuale momento storico), questa nona opera di Ozpetek si presenta come la migliore sintesi tra il suo cinema d'autore e popolare dai tempi de "Le Fate ignoranti". Ed è un omaggio alla rappresentazione scenica ("solo l'Arte sopravvive" dice Anna Proclemer, nel racconto collaborazionista delle forze occupanti naziste contro la propria compagnia teatrale, nella realtà una delle stelle classiche del firmamento del mondo dello spettacolo) dove, specificando che "il trucco è l'inizio di tutto", si chiude con la ripetuta parola "finzione".

La frase:
"Cosa c'è di più reale di una reale finzione?".

a cura di Federico Raponi

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