L'uomo nell'ombra
Quando esce il nuovo lavoro di uno dei massimi cineasti della storia del cinema (stesso discorso potremmo farlo, ad esempio, per Scorsese, Allen, Olmi, Herzog, Lynch) sono diverse le sensazioni che ci pervadono: entusiasmo per il ritorno in sala del regista, curiosità di conoscere il risultato ottenuto, trepidazione nel mentre ci si accomoda in poltrona e partono i consueti spot pubblicitari pre-film.
In questo caso l’interesse è maggiore, poiché l’ultimo trentennio professionale di Roman Polanski è trascorso - eccezion fatta per "Il Pianista" - senza fare troppo rumore; inoltre, la notizia dell’arresto dello scorso ottobre a Zurigo (sulla base di un mandato di cattura internazionale per il reato di violenza sessuale commesso nel 1977 negli U.S.A., ndr) ha aggiunto quel malato tocco di gossip a "L’uomo nell’ombra" (più incisivo il titolo originale: "The Ghost Writer").
Il film, tratto dal romanzo omonimo di Robert Harris, ha come protagonista uno "scrittore fantasma" inglese (Ewan McGregor) a cui viene offerto di ri-lavorare all’autobiografia di un ex Primo Ministro britannico di nome Adam Lang (Pierce Brosnan), che era stata interrotta per via della misteriosa morte dall’autore che se ne occupava precedentemente. Il ghostwriter (senza nome per tutta la durata della pellicola) è dubbioso, ma finisce per cedere alle lusinghe del "quarto di milione" che gli viene offerto dagli editori e si imbarca immediatamente alla volta di una sperduta isola situata sulla costa orientale degli Stati Uniti, dove risiedono momentaneamente Adam Lang, sua moglie Ruth (Olivia Williams) e il nutrito entourage al seguito. Arrivato nella sontuosa e tetra residenza americana – un castello moderno caratterizzato da ampi spazi interni e muri di vetro che si affacciano su un paesaggio plumbeo e abbandonato – il ghostwriter viene ricevuto dall’assistente personale del politico (Kim Catrall) che gli consegna la bozza originale delle memorie gelosamente e sospettosamente custodita con avanzato sistema di allarme; neanche il tempo di ambientarsi, che la situazione degenera: Lang (la cui figura presenta palesi analogie con quella di Tony Blair) viene accusato pubblicamente di aver, nel corso del suo mandato, catturato illegalmente dei sospetti terroristi in Pakistan e averli consegnati alla CIA per farli crudelmente torturare.
Il clima sull’isola si fa teso e maledettamente oscuro; il ghostwriter, costretto a rintanarsi nella lussuosa casa per evitare l’indiscrezione dei giornalisti e l’ira dei manifestanti pacifisti accorsi, trova casualmente una busta (imboscata dal suo predecessore) contenente alcune vecchie fotografie, un numero di telefono, e una tessera di partito che contraddice l’antefatto amoroso-politico del racconto alla base della carriera di Lang. Quindi, dopo una prima parte descrittiva e preparatoria, il cineasta di origine polacca ci immerge in atmosfere poliziesche che si rifanno alle suggestioni inquisitorie di grandi autori hard-boiled come Chandler e Hammett; il ghostwriter inizia a sospettare che ci sia qualcosa sotto la morte del primo "fantasma" e comincia ad indagare. Scopre degli indizi di complotto e, in un’aria fosca e misteriosa, svuota la coscienza e una bottiglia di whiskey con Ruth; passata la notte, lo scrittore decide di smettere i panni dell’investigatore e tornare a lavorare al libro in albergo, ma un navigatore satellitare – trovata brillante – gli farà cambiare idea e lo dirigerà verso un criptico enigma: "la verità sulla vicenda si trova all’inizio del manoscritto".
"L’uomo nell’ombra" è un thriller politico anomalo che attinge dalla lezione di Hitchcock, e che porta alla luce uno dei temi polanskiani più cari, come la lotta per fare emergere una verità nascosta, e in cui riecheggiano le peculiarità di vecchi (capo)lavori dello stesso regista: il senso claustrofobico de "L’inquilino del terzo piano", la soluzione dell’anagramma letterario con modalità simili a "Rosemary’s Baby", il finale che si rifà nello stile alla maestosa conclusione di "Chinatown".
Sono diversi i suoi pregi (sceneggiatura, fotografia e cast, su tutti), ma quello che rende imperdibile "The Ghost Writer" è il caro, vecchio effetto suspense, rivisitato in chiave attuale.
Welcome back, Roman.

La frase: "Io sono il suo ghostwriter".

Nicola Di Francesco

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