Los Herederos
E’ stato presentato in concorso nella sezione Orizzonti della 65ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, il documentario messicano "Los Herederos" del regista Eugenio Polgovsky.
E’ un film che parla di bambini, ma del mondo dell’infanzia c’è ben poco. La pellicola si apre su sfondo nero con in sottofondo una dolce ninna nanna, ma solo questa, e una vecchia bambola abbandonata in un cortile, ci ricordano che stiamo osserviando la quotidianità di tanti bambini in Messico e nel Sud del mondo.
E il documentario vuole proprio essere una denuncia delle condizioni di vita di tali bambini, costretti sin da piccolissimi a lavorare nella piantagioni o nei campi per contribuire alla sopravvivenza della loro famiglia. Ci mostra una vita dove la scuola è bandita, senza speranza di cambiamento, e tale tragica condizione è l’unica eredità che i bambini possono, in realtà, ricevere dai loro genitori.
Ogni famiglia è una piccola società, all’interno della quale tutti, nessuno escluso e a prescindere dall’età, ha il proprio importante ruolo: dal bimbo più piccolo, che si occupa di pulire il cortile e portare l’acqua dal canale a casa, alla bimba che aiuta nella tessitura dei tappeti, a quella che aiuta a cucinare e bada ai più piccoli, ai bimbi che lavorano giorno dopo giorno nei campi sotto il sole, al bimbo che mette a frutto il dono di saper intagliare benissimo il legno per creare dei bellissimi e variopinti animali. Non c’è nella loro vita quotidiana, già così riempita dalla miseria e dal dovere, spazio per il dolore (se ci si fa male non c’è tempo per piangere, si sistema la ferita con del nastro adesivo e si continua a lavorare) o per il gioco. Solo di tanto in tanto il silenzio, che accompagna i bimbi concentrati nel lavoro, viene interrotto dalla musica festante di una banda o dal canto ironico degli stessi bimbi, brevi ricordi dell’infanzia ormai dimenticata. E solo alla sera, dopo il lavoro, dopo il dovere, per poco i bimbi tornano tali, per giocare davanti al fuoco.
Il regista si è già distinto con le sue opere, sia come regista che come produttore. In particolare il suo "Tropico de cancer" è stato premiato nel 2004 come migliore opera prima al Mexico City International Contemporary Film Festival e agli Ariel Awards.
Polgovsky riprende e sviluppa in "Los Herederos" il tema già trattato in "Tropico de cancer", ossia una riflessione sulle famiglie messicane che vivono in modo quasi primitivo. Per tutta la pellicola si limita ad offrirci una "finestra" sulla vita di tali famiglie, senza nessuna interazione con loro o alcuna contaminazione registica, alla ricerca del massimo realismo.
Magistrali le ultime scene, i lunghi primi piani maschili e femminili, che inquadrano i protagonisti in un crescendo di età. Sono i loro occhi a parlare, tristi, malinconici e rassegnati, e i loro volti, tutti con la stessa espressione mai rallegrata da un sorriso.
Riflettono l’accettazione per la loro immutevole sorte. Nulla è cambiato, le generazioni si susseguono ma nulla cambierà. Conoscono già il loro destino.

La frase: "Che non si svegli, il mio bambino...".

Giuliana Steri

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