Levity
Un film impegnato, "Levity" dell'esordiente regista americano Ed Solomon. Impegnato nel senso proprio del termine, cioè un film che costringe la mente a ragionamenti ora capziosi ora più semplici e schietti in una sorta di ping pong intellettualistico che finisce per sommergere le componenti filmiche dell'opera delle quali alcune di buon valore. Mi riferisco principalmente all'interpretazione di Billy Bob Thornton che dopo le prove di "L'uomo che non c'era" e "The monster's ball" non finisce più di stupirci. La bellezza lunare di Billy Bob si incastona a dovere nello sfondo tetro e grigio che Solomon appresta con cura per il suo film. Il personaggio di Thornton sembra essere scritto pensando proprio all'attore. Thornton è un ex carcerato - Manual Jordan - che è appena uscito di galera per buona condotta dopo aver scontato una pena per l'omicidio di un ragazzo durante una rapina avvenuta più di venti anni prima. Manual è afflitto da un senso di colpa che lo conduce nel quartiere dove abita Adele (Holly Hunter, premio Oscar per "Lezioni di piano") la sorella del ragazzo ucciso. Qui incontra Miles (Morgan Freeman) un equivoco Pastore che affitta il parcheggio della sua canonica a dei ragazzi che frequentano una vicina discoteca in cambio di un quarto d'ora di sermoni che propina loro. Tra questi ragazzi vi è Sofia (Kirsten Dust, "Spiderman") alcolizzata e tossicomane che Manual cercherà di recuperare.
Come detto, Ed Solomon è un esordiente dietro la camera da presa ma non lo è come scrittore di cinema. Ha infatti alle sue spalle una solida esperienza come sceneggiatore di action movie. Dalla sua penna sono usciti film come "Man in black" e "Charlie's angels". La scelta di dedicarsi ad un genere più attento ad i contenuti si è, però, rivelata deludente. E la cosa che più colpisce che è soprattutto nella sua scrittura che il film lascia a desiderare. La storia è troppo ostinatamente imperniata sulle tematiche riscatto e perdono, redenzione e condanna tanto da andare a ledere la credibilità dei personaggi e delle relazioni tra essi. Primo fra tutti quello del Pastore interpretato da un distratto Morgan Freeman. Il film ondeggia tra la voglia di riscatto di Manual verso la famiglia che ha distrutto e la realtà che circonda l'ex galeotto. Una realtà che questi non riesce in alcun modo ad incidere se non in maniera quasi inconsapevole come nel caso di Sofia. E questa impalpabilità smarrente è acuita dall'apparente mancanza delle motivazioni per l'uccisione del ragazzo che vediamo inerme e sorridente durante l'esecuzione della rapina del negozio in cui lavorava. Alla fine si esce con molte domande e poche confuse risposte.
A rendere tutto ancora meno accettabile, confesso, è anche la sensazione che per molti versi questo film ricordi il già citato "The monster's ball". Opera dagli esiti artistici però molto ben diversi.

Daniele Sesti

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