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Il cecchino











Un fuorilegge, un uomo che sente che la legge non lo rappresenti più e un altro che non ha più limiti.
Sono i protagonisti dell’undicesimo lungometraggio diretto da Michele Placido, il quale, dopo "Romanzo criminale" (2005) e "Vallanzasca - Gli angeli del male" (2010), torna ad occuparsi di banditi su celluloide ritagliandosi anche una breve apparizione insieme a una non accreditata Fanny Ardant.
Lungometraggio che, senza perdere tempo, sfodera quasi subito una serrata sequenza d’azione per le strade di Parigi nel raccontare la vera e propria caccia all’uomo attuata dal capitano Mattei alias Daniel Auteuil per arrestare una famigerata di gang rapinatori di banche, sfuggitigli grazie all’intervento del cecchino Vincent Kaminski, che ha sparato contro i poliziotti.
Ed è il Mathieu Kassovitz autore de "L’odio" (1995) e "I fiumi di porpora" (2000) a concedere anima e corpo a quest’ultimo; man mano che fa la sua entrata in scena anche il medico corrotto Franck, con il volto di Olivier Gourmet, il cui destino, come pure quello di Mattei e Kaminski, sembra essere legato a un vortice di misteri e uccisioni risalenti alla guerra in Afghanistan.
Vortice che, in un certo senso, coinvolge anche Anna e Nico, rispettivamente incarnati da Violante Placido e Luca Argentero; mentre quello che prende progressivamente forma, caratterizzato da una fotografia tempestata di ombre e contrasti, tipici dei noir su celluloide, altro non vuole essere che un polar, ovvero un poliziesco di stampo francese.
Un polar atto a delineare in maniera allegorica una discesa agli inferi – fisica e psicologica – che, allo stesso tempo, si rivela una riflessione sui recessi dell’animo umano e i sempre più impalpabili confini che separano bene e male; tirando in ballo anche situazioni che sfiorano i connotati dell’horror d’oltralpe come quella in cui abbiamo una ragazza nuda in fuga tra i boschi.
Senza alcun dubbio, una delle più riuscite della quasi ora e mezza di visione, insieme a quella tesa finale; tanto da suggerire che Placido possa rientrare tra i pochi cineasti italiani in grado di affrontare il genere che ha dato notorietà a nomi del calibro di Dario Argento e Lucio Fulci.
Anche se il non disprezzabile elaborato in questione, in parte penalizzato da alcuni confusi passaggi dello script, più che alla succitata, ottima pellicola riguardante la banda della Magliana sembra avvicinarsi a prodotti televisivi – pur sempre riusciti – come "Operazione Odissea" di Claudio Fragasso e "Uno bianca" (2001) di Michele Soavi.

La frase:
"Questo è il caso di banditismo più importante della mia carriera".

a cura di Francesco Lomuscio

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