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L'avversario
"L'avversario" racconta una storia realmente accaduta in Francia agli inizi degli anni '90. È la storia di un'implosione, di un seme della follia covato negli anni da Jean-Marc Faure (Daniel Auteil), germinato sulla via di una vita costruita artatamente per compiacere sé stesso ma soprattutto gli altri: la tua famiglia, la tua fidanzata, i tuoi amici. Per non deludere le aspettative altrui Jean-Marc Faure si inventa una laurea in medicina, una professione autorevole (un posto di ricercatore presso l'Organizzazione Mondiale della Sanità) e vende questa sua verità a tutte le persone a lui vicine in cambio di affetto e di amore, in cambio di considerazione. Ma tutte le finzioni sono destinate ad essere scoperte. Dopo diciotto anni di sotterfugi e di ripetute menzogne, la paura di essere scoperti può diventare una vera liberazione ma in Jean Marc predomina il senso della vergogna, impossibile per lui da sopportare. Ed allora, con la freddezza di un killer consumato, elimina tutti coloro dei quali non avrebbe potuto reggere lo sguardo o sentire il freddo astio della riprovazione.
L'opera di Nicole Garcia ("Place Vendome") si ripromette di mettere in scena un fatto di cronaca, francamente sconcertante, nella maniera più fedele possibile. Questo intento, bisogna dire, è stato raggiunto dalla regista francese mediante, però, una narrazione lenta e depressiva che sembra rispecchiare le caratteristiche psicologiche del personaggio ben interpretato da Auteil. Il montaggio è fiacco e piatto ed in certi momenti la sequenza degli eventi risulta alquanto confusa. Pur se arricchito da qualche preziosismo stilistico, il film rimane una pellicola senza qualità. Affronta temi che altre opere precedenti hanno saputo dispiegare con maggior capacità espositiva. Film come "A tempo pieno" del francese Laurent Cantet o il recentissimo film spagnolo "I lunedì al sole" contengono quell'humus fertile capace di suscitare più di un interrogativo nello spettatore grazie al lavoro di approfondimento e di scavo che in "L'avversario" mancano. Non vi è tensione intellettuale ma uno scandire gli eventi che lascia perplessi, soprattutto alla luce di un personaggio così complesso e contraddittorio come quello del protagonista. È meglio, allora, concentrare l'attenzione sulla maschera triste e malinconica di Geraldine Pailhas nel ruolo della moglie di Jean-Marc. Lei sì capace di restituire quel necessario coinvolgimento emotivo che il farneticante girovagare del marito per le strade delle Alpi franco-svizzere non riesce a fornire.
Daniele Sesti
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