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La vita come viene
La vita, così come viene, raramente è quella che vorremmo o avremmo voluto avere.
E certo non mancherebbe nessuno all'appello se ci si dovesse interrogare anche solo su un sogno non realizzato o un'aspirazione mancata.
È cosi anche per le persone di cui parla Stefano Incerti: le loro vite sfiorano le tragedie, passano accanto alle fortune, attraversando tempeste e bufere e si risolvono, quasi da sole, prendendo direzioni inattese.
Il regista napoletano ricostruisce le vite di Paola, borghese insoddisfatta, Laura una romantica ma solitaria bibliotecaria, Beppe musicista deluso, Giorgia, un hostess in cerca di maternità e Marco geometra licenziato senza motivo. Racconta anche dei loro compagni di ventura o sventura, che si dibattono con altrettanta disperazione negli angusti limiti delle proprie quotidianità.
Tutti sul bordo di un precipizio. Licenziati, malati, disperati, avanzano un passo dopo l'altro come avvolti dalla nebbia, riuscendo come possono a trattare con la mancanza di amore o con la paura di perderlo o giocando, troppo spesso, con le apparenze.
Tutti benestanti che si specchiano in una vita certamente agiata ma con gli stessi drammatici vuoti interiori di chi si trova invece ai margini della società.
Non è certo un argomento nuovo questo. Dei movimenti interiori ed esteriori di uomini e donne comuni, già Robert Altman e Paul Thomas Anderson hanno saputo raccontare magistralmente in "America oggi" prima o in "Magnolia" poi, per citare solo i più grandi.
E questa è una comparazione che la memoria fa immediatamente davanti al puzzle realizzato da Incerti, sebbene in quest'ultimo manchi la medesima destrezza nel mescolare armonicamente ogni frammento. L'intrecciarsi delle vite dei protagonisti, sul fondo di una cittadina del nord Italia appena accennata, non è in grado infatti di illustrare con la compartecipazione e profondità dei suoi modelli la ricerca di interiorità di questa sconsolante umanità, i cui volti dolenti e sguardi sofferenti, sono frustati dai continui primi e primissimi piani. La narrazione inciampa proprio tra le maglie di questa struttura ad incastro che sperando di essere ariosa, diventa invece fatalmente e pesantemente minimalista.
E sebbene le cinque storie si concludano senza colpi di scena, e senza giudizi morali, il film pur mostrando la propria voluta asprezza, resta freddo ed insipido.
Valeria Chiari
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