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La regola del sospetto
Finalmente Al Pacino abbandona il suo abito dimesso e quell'aspetto da triste tenente Colombo, ritrovando quella grinta che l'ha portato ad ottenere otto candidature all'Oscar. Certo non rinuncia al monologo, ormai suo pezzo forte: cinque minuti sul palcoscenico con i riflettori puntati su di lui tenendo banco come un teatrante consumato. Deja vù!
Ma veniamo ad una trama particolarmente adatta al momento storico in cui stiamo vivendo dove i servizi segreti americani si affannano a trovare prove per giustificare un intervento armato. La figura dell'agente CIA, tanto in voga durante la guerra, aveva subito un pesante appannamento. Ora nell'era mediatica dove tutto è spettacolarizzazione, anche l'Agenzia si deve adeguare cercando così di patinare la sua immagine. Per anni il suo motto è stato scandito da: tutti conoscono i nostri fallimenti, ma nessuno è a conoscenza dei nostri successi (si sa, la segretezza è d'obbligo). Ora è bene che anche i successi acquisiscano maggior visibilità, ed eccoci quindi nel centro d'addestramento alle prese con i metodi di reclutamento dei nuovi "adepti". Patriottico!
Roger Donaldson non è nuovo alle pellicole di genere: dopo la bella prova di "Senza via di scampo" (ambientato al Pentagono) si è dibattuto in una serie di filmetti comodamente dimenticabili, per tornare a prendere una boccata d'aria con la Casa Bianca "Thirteen Days", un genere a lui più consono. È ora la volta dell'Agenzia di Walter Burke (Al Pacino), il perfetto agente reclutatore disposto ad utilizzare ogni più piccola bassezza pur di ottenere il suo scopo, nella fattispecie James Clayton (Colin Farrell / "Devil"). James ha tutte le caratteristiche per essere un perfetto Agente Operativo: atletico, intelligente, curioso, determinato e... figlio d'arte.
Dopo un periodo di addestramento nella "Fattoria", la base dove vengono formati i futuri agenti - ed eliminati quelli inadatti -, James è pronto per la sua prima missione: investigare sulla sua collega Layla (Bridget Moynahan / "Al vertice della tensione") e sventare una probabile fuga di ionformazioni.
Due sole regole:
Niente è mai quello che sembra.
Mai farsi scoprire.
Nel complesso una pellicola "onesta" che non mira ad essere un capolavoro, ma che riesce ad intrattenere mantenendo un minimo di suspance, anche se i più smaliziati intuiranno con anticipo le svolte risolutive.
Curiosità: la scena finale dell'inseguimento nel capannone tra Walter e James è girata sullo stesso set della prigione di "Chicago".
La frase: "Alla fine della storia è solo un lavoro. È quello che facciamo, non quello che siamo. Quello che siamo dipende da noi."
Indicazioni: Per i novizi delle "spy-stories".
Valerio Salvi
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