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La Position du lion couché
Più della morte in sè, sconvolge il conoscerne la data con un certo margine d’esattezza. Il che è comunque pure un’opportunità per preparare sè stessi e i cari al lutto. Mary Jimenez, prodotta dai fratelli Dardenne, con forza e pudore entra in un centro per la terapia del dolore accompagnando - come Caronte - alcuni malati terminali di cancro. Ci raccontano la loro esperienza, dalle foto dell’infanzia alle differenti reazioni alla fine annunciata. Rabbia, tristezza e incontri per superare la depressione, coraggio (“dovevo uccidere una parte di me”, oppure “non voglio che la mia vita sia dominata dal tumore”). Cambia il rapporto con il proprio corpo che comincia ad abbandonare lo spirito, però non è detto che si debba arrivare con pace interiore all’addio, qualcuno lotta e si dispera finchè può. A una delle protagoniste, sulle strisce pedonali, suonano il clacson se non cammina rapida, ed è abbandonata dai conoscenti alla sofferenza della malattia e alla dipendenza dagli altri. Un’altra attende invece con impazienza il trapasso non tanto per abbreviare la tribolazione fisica, ma in qualità di ultima esperienza, e vuole essere cosciente per arrivare viva alla morte. Fa perciò la sua dichiarazione d’amore suprema a chi vorrebbe accanto andandosene, sceglie regali per gli amici e chiede di venir salutata con fuochi d’artificio e ceneri disperse in mare.
Jimenez accosta inizio e fine: pare ci sia, nel parto quanto nella morte, un vissuto simile di dolore e semicoscienza; e come esiste una posizione ideale per l’uno, così - secondo il buddhismo – anche per l’altra. E’ quella, citata nel titolo del documentario, del leone sdraiato (sul fianco destro, mano sinistra sulla coscia destra e gambe leggermente piegate). Nel suo incontro umano, la regista coglie alcuni momenti lirici e toccanti: la mano picchia col pennello sulla tela per far tornare quella luce che le è stata tolta, l’infermiera impara a lasciar passare quelle vite come un fiume, gli esercizi con le mani che si aprono verso il bagliore bianco dalla finestra, il concerto di violoncello ascoltato ad occhi chiusi.
La frase: "Lascia andare le vecchie cose, ma onorale".
Federico Raponi
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