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La mia banda suona il pop

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio17 febbraio 2020Voto: 6.5
 

  • Foto dal film La mia banda suona il pop
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Si comincia a San Pietroburgo, dove troviamo un Diego Abatantuono che, manager musicale, viene contattato da Natasha Stefanenko, donna di fiducia di un magnate russo che sogna in loco una réunion della sua band preferita: i Popcorn, famosissimi negli anni Ottanta. I Popcorn che, ricordati per orecchiabili successi e chiaramente ispirati ai Ricchi e poveri, non sembrano oggi passarsela propriamente bene: se il chitarrista Paolo Rossi suona ormai in mezzo alla strada come un elemosinante, non sono messi molto meglio i tre cantanti, dal Massimo Ghini che lavora nel negozio di ferramenta della moglie Anna Ammirati alla Angela Finocchiaro alcolizzata e che viene sbattuta fuori da una trasmissione televisiva di cucina, fino al Christian De Sica che si guadagna (poco) da vivere continuando a proporre le loro vecchie hit presso feste e cerimonie.

Un De Sica il cui personaggio sfrutta in arte il nome di Tony Brando, proprio come il Ciardulli che interpretò nel verdoniano “Compagni di scuola” e che, di conseguenza, non può essere annoverato altro che tra i numerosi omaggi che il regista Fausto Brizzi – affiancato in fase di sceneggiatura da Marco Martani, Edoardo Falcone e Alessandro Bardani – rivolge qui al frizzante decennio che provvide a ricostruire tramite il suo acclamato esordio “Notte prima degli esami”.
Decennio in cui le coppie, dopo essere state aperte negli anni Settanta, sono state chiuse, come viene precisato nel corso della oltre ora e mezza di visione che, se in un primo momento può spingere a pensare ad un’imitazione italiana dello “Still crazy” attraverso il quale l’inglese Brian Gibson raccontò nel 1998, appunto, la ricostituzione di un complesso del passato, prende poi la via dell’heist movie.

Perché, tra apparizioni per Stefano Ambrogi e Giulio Base e una simpatica e più che giusta frecciatina al giornalismo tricolore, si arriva progressivamente a scoprire che i quattro musicisti, in realtà, sono stati convocati per fare da cavallo di Troia durante una colossale rapina progettata dalla citata Stefanenko ai danni del miliardario.
Ed è da qui che, inclusa nel mucchio la mitica DeLorean di “Ritorno al futuro”, film preferito dall’autore di “Maschi contro femmine”, i toni della commedia cominciano ad essere miscelati a quelli dell’azione, con i protagonisti interessati essi stessi al ghiotto bottino e impegnati in travestimenti, escursioni nelle fogne, fughe a bordo di moto d’acqua e violazione di caveau segreti.

Senza contare un imprevisto con una temibile tigre; man mano che le occasioni per ridere risultano tutt’altro che assenti (la battuta di Abatantuono su Scialpi è tra le migliori) e che non ci si annoia affatto, coinvolti in maniera efficace nella piacevole visione da un buon ritmo capace di non far rientrare “La mia banda suona il pop” tra le meno riuscite prove brizziane.
Fino ad un’ultima sequenza posta nel mezzo dei titoli di coda, al termine dei quali si giunge con indelebilmente impressi nella testa i ritornelli di “Semplicemente complicata (Tu turuturù)” e “Cose infinite”, inediti di taglio eighties appositamente composti dall’infallibile Bruno Zambrini, curatore della colonna sonora.


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