La lettera
Il film si apre sulla bella vita milanese, con una sequenza di ricevimenti, risate, belle donne e mondanità interrotta dall'arresto del padre della protagonista per tangenti. Margherita (Vittoria Belvedere), la figlia, è chiamata a fare i conti con l'autosostentamento dopo la confisca dei beni paterni. L'imputato si suicida in carcere non sopportando l'onta. La ragazza accetta la cattedra di maestra nel profondo sud della Calabria. Tra i suoi alunni Diego Polito, nipote di un malavitoso che arrestato in america con tanto di foto sul giornale. A scuola l'immagine viene mostrata alla maestra che, per arginare i propri ricordi e non turbare l'innocenza dei bambini, taglia corto e convince gli alunni a rispondere all'annuncio di un americano in cerca di amici di penna. L'entusiasmo li rapisce malgrado le alte barriere imposte da una lingua a loro ancora sconosciuta. La lettera è scritta e la maestra la ripone nel cassetto, chiarendo che si trattava solo di un esercizio; i bambini la rubano e la spediscono. Segue risposta. Il mittente è un indiano nel braccio della morte, solo, senza speranze e con tanta voglia di scrivere.
La notizia che una classe di bambini dell'Aspromonte sostiene la causa persa di un povero indiano fa il giro del mondo. Forse parlandone ai media si può ancora sperare. I genitori dei ragazzi trasformatisi in una tribù di venti indiani piccoli, si oppongono e minacciano di ritirare i bambini dalla scuola se la maestra non se ne torna da dove è venuta. Gli indiani non si fidano più di nessuno e scappano sull'Aspromonte dove si nascondono in un paese abbandonato. La maestra vuole dimostrargli di essere dalla parte giusta e si mette sulle loro tracce, con l'aiuto di un autista che ha un indizio. La polizia li cerca con elicotteri costringendo casualmente dei rapitori a lasciare libero un bambino per paura di essere scoperti. La notizia che la memoria del padre, sospetto tangentista, è stata riabilitata, prepara il lieto ricongiungimento dei bambini con la loro maestra. Manca solo il corpo del condannato. Ultimo desiderio: essere seppellito nel cimitero di Pandimele. La bara arriva insieme a quella dello zio d'America di Diego, che presenzia all'arrivo del familiare, ma poi scappa ad onorare il suo eroe indiano caduto per mano dell'uomo bianco cinico e poco comprensivo.
Al di là delle favole e delle nuvole, il primo lungometraggio di Luciano Cannito non ci lascia in trepida attesa della seconda chance. Criticabile soprattutto le due morti, innocenti o meno, messe in parallelo. Da una parte un imprenditore a Milano, dall'altra un indiano perseguitato e privato dalla nascita della sua terra. Poi la Ndrangheta che brama potere e rapisce innocenti, sconfitta dall'entusiasmo poco credibile di bambini che sposano la causa della giustizia, portando i loro sogni oltreoceano. Se la trama scricchiola la protagonista si incupisce, pensa al padre, si perde, viene ripresa da un superiore si sfoga con gli alunni, la invitano a cena e dice no grazie meglio me myself and I. L'avvocato di Amnesty International non poteva che essere nero, chiudendo il gioco di associazioni alla parola pietà per gli innocenti, alla faccia di chi, pur non ritenendosi senza peccato, scaglia prima la critica.
Ai piccoli ed in tv non è detto che non piaccia.
Andrea Monti
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