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La guerra di Mario
Quella di Mario è una guerra dei sentimenti dilaniati da un'infanzia infelice trascorsa tra una madre naturale inadeguata di pensarlo come un bambino bisognoso di affetto e di attenzione e una nuova famiglia desiderosa di colmare quel vuoto di amorevolezza ma incapace di riuscirci con la necessaria ed indispensabile naturalezza.
Antonio Capuano ("Pianese Nunzio, quattordici anni a maggio") affronta il problema degli affidamenti temporanei dei bambini provenienti da una famiglia naturale che non può occuparsi di loro. Le sfaccettature della questione, come è facile immaginare, sono molteplici. Capuano, bisogna dire, pur se in maniera in alcuni punti eccessivamente didascalica, raggiunge un buon livello di profondità nel raccontare la storia del piccolo Mario. I rapporti tra il bambino e l'aspirante madre (ora dimessa ora combattiva a cui dà il volto Valeria Golino) sono ben delineati e ben si colgono le delicate, e fragili, trame psicologiche che nascono tra di loro. Delicate e fragili ma durissime, come un chiuso bozzolo al mondo esterno. Sia esso rappresentato dal compagno di lei, o dal nugolo della burocrazia controllante e controllata costituita dal corpo insegnante di una scuola solo preoccupata di mantenere la buona fama di un istituto della Napoli bene, o dallo zelante lavoro di giudici minorili e psicologhe operose.
Il regista sceglie una via semplice e poco ridondante per raccontare il suo film. Nella lucida e sempre vigile fotografia di Luca Bigazzi, riprende i suoi personaggi senza fronzoli pur non abdicando totalmente a scelte più estetiche come l'ottimo commento sonoro di Pasquale Catalano o le colorite descrizioni di una napoletanità che ha ormai ceduto il passo al karaoke e la cui spontaneità naturale trascende in bieca volgarità.
Buone le interpretazioni degli attori. In particolare, funziona l'alchimia tra il piccolo Marco Grieco nel ruolo di Mario ed una ispirata Valeria Golino, madre non madre, disposta a sacrificare tutto per questo figlio non figlio.
Un film valido anche se sconta una certa lentezza solo in parte lenita dalla poesia intrinseca ad alcuni momenti dove la cronaca si stempera nei disperati tentativi di Mario di accedere ad una realtà di serena normalità.
La frase: "La scuola è un brutto carcere e il carcere è una buona scuola".
Daniele Sesti
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