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La fine è il mio inizio
Nato a Firenze nel 1938 e morto a Orsigna nel 2004, Tiziano Terzani è stato un appassionato giornalista e scrittore che, figlio di madre cattolica e padre comunista ed ex partigiano, ha anche trascorso tre decenni della sua vita a fare da corrispondente dall’Asia per il Corriere della sera e Repubblica.
E’ partendo dal suo bestseller "La fine è il mio inizio" che il tedesco Jo Baier – dal curriculum prevalentemente televisivo – ne racconta su celluloide l’ultimo periodo di vita, quando, malato di cancro e ritiratosi a vivere con la moglie nell’appartata casa di famiglia nella Toscana settentrionale, convoca a sé il figlio Folco, che vive a New York, per narrargli la storia della propria vita.
Quindi, con un immenso Bruno Ganz nei panni dell’uomo ed Elio Germano in quelli del ragazzo, è sul lungo, intimo dialogo tra i due, immersi in un’affascinante ambientazione rurale, che si costruiscono i circa 98 minuti di visione, la cui fonte letteraria di partenza aveva destato l’interesse del produttore Ulrich Limmer – autore inoltre dello script insieme allo stesso Folco Terzani – soprattutto per il forte legame padre-figlio, la riflessione sulla morte ed il messaggio relativo al fatto che un individuo è in grado di cambiare anche il mondo se può cambiare sé stesso.
Lungo dialogo attraverso cui Tiziano, tra lo scioglimento di vecchie tensioni e il racconto dei tre anni trascorsi presso un grande saggio nell’isolamento dell’Himalaya, cerca di trasmettere le proprie esperienze a Folco, spiegandogli anche che la vera rivoluzione è dentro di noi, che l’essere umano è la creatura più distruttiva comparsa sulla faccia della Terra e che i conflitti bellici, anziché mettere fine alle guerre, hanno portato soltanto altro dolore e distruzione.
Però, mentre viene ribadito, oltretutto, che Mao, invece di fare un comunismo della Cina, ha voluto eliminare tutto ciò che era cinese per creare una società nuova, non si fatica ad avvertire l’eccessiva verbosità dell’operazione, dovuta all’evidente, principale desiderio di tramandare allo spettatore tutte le riflessioni e gli ideali di Terzani. Allora, tanto vale leggersi il libro per l’annoiato spettatore, al quale non rimane altro da fare che apprezzare le performance dei due protagonisti (più quella di Ganz che di Germano, in verità), talmente destinate a sostenere l’intero film da conferirgli un taglio generale più vicino al teatro che al cinema vero e proprio.
La frase: "Io sono stato tante cose, ma alla fine non sono nessuno".
Francesco Lomuscio
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