La bella di Mosca

La Nanà di Zola e la Margherita Gautier di Dumas hanno indubbiamente influenzato molta della letteratura successiva, per tacere del cinema. Le avventure delle due spavalde eroine, per le quali l'uso delle arti amatorie e della propria bellezza erano l'unico modo per uscire da una vita di miseria e di bruttezza, hanno subìto diverse trasformazioni, per essere riproposte in versioni apparentemente più moderne.
È il caso anche dell'ultimo film di Cesare Ferrario, la cui storia è tratta da un romanzo dello scrittore russo Victor Erofeev, diventato in molti paesi un best seller.
La protagonista è Irina una ragazza nata in una sperduta cittadina dell'Unione Sovietica dalla quale è scappata via per raggiungere Mosca, nella speranza di poter vivere una vita cosmopolita. Molto bella ed intraprendente riesce subito ad "inserirsi" nella Mosca che conta.
Assunta come indossatrice la sua vita subisce una scossa con l'incontro della ricca e aristocratica Ksiuscia. Dopo aver conosciuto il cugino di Ksiuscia, cinico rampollo di una potente famiglia, Irina ne incontra il padre, Vladimir, celebre scrittore ed ideologo, sposato con la figlia d'un importante personaggio del governo. Tra i due scoppia una passione travolgente che sconvolgerà le loro vite in un tragico quanto scontato finale.

Non è solo la prevedibilità degli eventi a suscitare noia in questo film. La regia e gli attori ne hanno gran parte del merito. Ferrario, non riesce a liberarsi del suo forte legame con il teatro, di cui è stato soprattutto interprete; ritiene che far parlare e far muovere gli attori come se rappresentassero una tragedia greca sia un ottimo modo di esprimere la drammaticità della vicenda. Ma gli attori non ne sono assolutamente all'altezza, e l'arte cinematografica è grazie a Dio ben altro che plastiche posizioni di corpi che fanno l'amore in letti dalle lenzuola di seta, o sinuosi movimenti e sguardi sensuali lanciati da un palco di teatro. E non basta neppure utilizzare la simbologia dei colori, in una profusione di drappi, abiti, o lenzuola rossi, per determinare la grandezza o la serietà dell'argomento.
Il regista de "La più bella del reame" non convince; le sue peregrinazioni in Russia alla ricerca di una storia che lo portasse oltre il film con Carol Alt e ispirato al romanzo della Ripa di Meana, non lo hanno condotto alla nuova cinematografia che lui stesso desiderava.
Irina non è altro che una donnetta insulsa, senza neppure un briciolo della tragicità della Margherita Gautier o dell'intensa disperazione della sua concittadina Anna Karenina, alla quale l'accomuna solo la fatalità del finale.

Valeria Chiari

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