Kung Fusion
Dopo aver rivisitato il calcio con il simpatico Shaolin Soccer, Stephen Chow tenta la medesima operazione con il Kung-fu. Stavolta però dietro a tutto ci sono le spalle larghe delle Columbia (quindi tanti soldi), convinta che il regista/sceneggiatore/attore asiatico sia un nuovo asso da lanciare alla grande nel mercato occidentale.

Shangai, anni 40. La città è completamente in mano a gang che vessano la popolazione locale. Gli unici a poter contrastare l'imperante clima di oppressione sono dei vecchi maestri di Kung-fu da tempo ritiratisi a vita privata. In questa situazione di tensione si inserisce la storia di Stella, un giovane sfigato che vorrebbe essere uno dei "cattivi", ma la cui goffaggine impedisce di esser credibile agli occhi di chiunque…

Qualcuno di voi conosce il cantonese? Io, purtroppo no. Ed è per questo che mi limito un attimo nel pensare peste e corna del doppiaggio in italiano del film che dona ad ogni personaggio un dialetto diverso. Dialetto italico per noi, sia chiaro. E così abbiamo dei bei siparietti tra cinesi che parlano a turno toscano, siciliano, romanaccio e napoletano. Se il tutto era fatto per aggiungere simpatia, il risultato è più da film dell'orrore. Fatta la dovuta premessa, andiamo al film.
Dopo l'invasione dei vari Hero e La foresta dei pugnali volanti nonché di Jackie Chan (e un tempo di quel mito che fu di Bruce Lee), eccoci davanti ad un nuovo modo di presentare combattimenti volanti e mosse inverosimili. Chow tende a fare del suo film una parodia del genere, portando all'eccesso situazioni e personaggi. Non c'è vera divisione tra buoni e cattivi, non c'è rispetto per quella filosofia zen che a parole sembra domini tutto, ma che nella realtà dei fatti viene quasi derisa. I maestri dell'arte marziale si combattono senza remore, facendo affidamento a tutto pur di sconfiggersi. Vittorie fini a se stesse che non significano l'affermazione del bene sul male o viceversa. Seppur il tono sia comico, giocato sul grottesco e la citazione cinefila, il vero punto di forza della pellicola sono, infatti, i combattimenti. Scene di massa ricche di comparse-replicanti alla Matrix, corpi a corpo che si risolvono con mosse alla DragonBall, personaggi improbabili che nascondono doti da guerrieri a prima vista impensabili. Kung Fusion pare strutturato come un albero di Natale. Si parte da un ambiente ristretto, un quartiere, e arricchendosi di particolari si allarga sempre più senza darci grossi punti di riferimento, rimandando all'infinto ciò che ci aspettiamo debba succedere, innestando continuamente nuovi personaggi, o riscoprendone di già visti, senza avere alcun timore di apparire sfilacciato o confuso. Il risultato è un film allegro e scanzonato con vari livelli di lettura, e che, in virtù di questo, non potrà far altro che polarizzare il pubblico. O si apprezza o si troverà demenziale, difficile la mezza misura.

La frase: "Il postino suona una volta sola"

Andrea D'Addio

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