King Kong
Con oltre 200 milioni di dollari di budget ed un validissimo cast, il neozelandese Peter Jackson, progressivamente elevatosi da maestro del cinema splatter (Bad taste, Splatters-Gli schizzacervelli) a raffinato autore (Creature del cielo, Forgotten silver), fino a diventare una delle più potenti figure cinematografiche del globo grazie alla pluripremiata trilogia de Il Signore degli Anelli, porta finalmente sullo schermo il sogno di una vita: il remake di King Kong, ultra-classico del fanta-cinema e non solo che, realizzato nel 1933 da Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack, lo convinse ad intraprendere la difficile strada della celluloide. Infatti, dichiara: "Ho visto King Kong per la prima volta in tv in Nuova Zelanda quando avevo otto o nove anni. E mi ha colpito, mi ha impressionato così tanto che è stato in quel momento che ho deciso che volevo fare il regista. Ho pensato io voglio fare film. Voglio riuscire a fare dei film proprio come King Kong'. Mi ha colpito veramente moltissimo".
Ed ecco che, grazie al prezioso contributo delle scenografie di Grant Major (La ragazza delle balene), Jackson ci trasporta di nuovo, e con grande realismo, nel 1933, cancellando istantaneamente dalla memoria, come c'era da aspettarsi, il ridicolo rifacimento - giocattolone fortemente voluto nel 1976 da Dino De Laurentiis. Iniziano quindi 180 minuti, ottimamente strutturati dal punto di vista narrativo, caratterizzati da una lunga prima parte destinata all'attesa, nel corso della quale facciamo conoscenza con l'attrice di varietà Ann Darrow, ora con il volto di Naomi Watts, ma nella pellicola originale interpretata dalla scomparsa Fay Wray, che, ridotta in povertà, viene notata, durante il furto di una mela, dal regista Carl Denham, il quale la sceglie per il suo film, a metà strada tra l'azione ed il documentario, che dice di dover girare a Singapore; in realtà, il misterioso e leggendario luogo che spera di trovare, per poterlo filmare, è l'Isola del Teschio, verso la quale si dirigono, a bordo della nave a vapore S.S. Venture, insieme ai componenti della troupe, tra cui troviamo il promettente drammaturgo Jack Driscoll, autore della sceneggiatura, splendidamente incarnato dal sempre eccezionale Adrien Brody.
Quindi, è subito chiaro che quella che stiamo visionando non è la solita, semplice rilettura, né, tanto meno, l'ennesimo blockbuster miliardario volto al facile intrattenimento, sebbene siano presenti evidenti rimandi, tra l'altro, alla trilogia di Jurassic park (saga che lo Spielberg neozelandese ha più volte dichiarato di apprezzare). Il King Kong di Jackson è un vero e proprio atto d'amore nei confronti di quella personale ossessione chiamata cinema, a partire dal personaggio di Denham, con le fattezze del corpulento Jack Black, che ha tutta l'aria di una sua versione su celluloide, talmente geloso e possessivo nei confronti della macchina da presa a manovella, strumento che gli consente, contemporaneamente, di materializzare sogni e denaro, da non lasciarla neppure durante il pericoloso attacco dei dinosauri. E si potrebbe proseguire all'infinito, ma diciamo soltanto che, all'interno della nota vicenda che vede Ann alle prese con Kong, gigantesca divinità ominide che finisce per innamorarsene, tra combattimenti da antologia con T - Rex e simili e l'inedita sequenza degli insetti giganti, censurata nel lungometraggio originale ed andata perduta, i lati negativi e positivi dell'ambiente cinematografico dell'epoca vengono raccontati senza dimenticare l'indispensabile ironia, mentre emerge pienamente la psicologia di ogni singolo protagonista e Driscoll, tra l'altro, azzarda critico: "Attori, girano il mondo ma tutto ciò che vedono è uno specchio".
Il regista di Sospesi nel tempo, quindi, confeziona il suo ennesimo capolavoro, notevolmente infarcito di effetti digitali, ma che non risultano mai gratuiti, regalandoci un Kong incredibilmente espressivo, immerso nei malinconici colori della fotografia di Andrew Lesnie (Il Signore degli Anelli: La compagnia dell'anello) e che, con abbondanti dosi di romanticismo e poesia sprigionata in ogni singola inquadratura, conclude la sua odissea nella bellissima parte finale del film, la cui sola sequenza dell'Empire State Building vale il costo del biglietto. E state pur tranquilli che, in un futuro non molto lontano, la storia del cinema verrà studiata attraverso le opere di Alfred Hitchcock, Charlie Chaplin e… Peter Jackson!

La frase: "C'è solo una creatura capace di lasciare un'orma di queste dimensioni: l'abominevole uomo delle nevi!".

Francesco Lomuscio

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