Killer Elite
Jason Statham, roccioso protagonista della trilogia "Transporter", concede anima e corpo al killer Danny, il quale, ritiratosi in luogo privato e lontano dalle brutalità commesse, in quanto stanco della sua spietata professione, si trova costretto a tornare all’opera nel momento in cui viene a sapere che il suo mentore e amico Hunter alias Robert De Niro è prigioniero del sultano dell’Oman.
Quindi, con Danny che, per poter liberare Hunter, accetta il compito di vendicare la morte dei figli del sultano, uccisi da alcuni ex membri dei SAS (Servizi Aerei Speciali Britannici) durante la segreta Guerra dell’Oman, appare immediatamente chiaro che il lungometraggio d’esordio di Gary McKendry – autore dello short candidato all’Oscar "Everything in this country must" – non abbia nulla a che vedere con l’omonima pellicola firmata nel 1975 da Sam Peckinpah.
Perché è dalla storia vera narrata nel romanzo "The feather men" di Ranulph Fiennes che si è partiti per portare sullo schermo i circa 116 minuti di visione, destinati a tirare in ballo anche Clive Owen nei panni di Spike, ex SAS assetato di combattere una nuova guerra, nonché protettore, insieme alla sua squadra clandestina, dei bersagli del protagonista.
E, come c’era ad aspettarsi, è proprio sulla fisicità di Statham, più che sull’ennesima prova dell’invecchiato "Taxi driver" della Settima arte, che punta principalmente l’operazione, la quale apre in Messico all’insegna del movimento e delle pallottole volanti, per poi passare a un anno dopo.
Del resto, man mano che apprendiamo che uccidere è facile, ma conviverci è complicato, non sono certo la violenza e i momenti d’azione a essere assenti, mentre la colonna sonora di vecchi hit spazia da "Strange brew" dei Cream a "I fought the law" dei Clash.
Però, se da un lato nessuno dei diversi scontri corpo a corpo e a fuoco sembra riuscire nell’impresa di rivelarsi particolarmente memorabile, dall’altro non è difficile pensare che l’ingarbugliato plot spionistico finisca non poco per ledere al senso di facile intrattenimento che la pellicola cerca di proporre.
Con la risultante di un elaborato che, seppur guardabile, rischia di non funzionare pienamente né sul fronte della spettacolarità, né su quello relativo all’intreccio; tanto da non rientrare, di sicuro, tra i migliori titoli interpretati da colui che incarnò lo scatenato Chev Chelios in "Crank".
La frase:
"Se non accetti il lavoro, Hunter è un uomo morto".
a cura di Francesco Lomuscio
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