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The Karate Kid: La Leggenda Continua
"Dai la cera, togli la cera". Per chiunque sia cresciuto negli anni ’80, i consigli e le lezioni di karate di Mister Myagi sono scolpiti nella memoria come un’esperienza di vita vissuta in prima persona, una fonte di ispirazione e modello a cui potersi rifare nel resto della vita. Sarà stata anche filosofia spicciola, ma prendeva, entrava dentro, scavava e rimaneva. I due seguiti, soprattutto il terzo episodio della saga, non riuscirono, per quanto mediocri, a scalfire quanto di buono c’era nel primo. Logicamente, partendo da questi presupposti, si può andare al cinema per il nuovo "Karate Kid" già sicuri di un pregiudizio negativo.
Prodotto da Will Smith per dare, così almeno ha affermato, "una possibilità di attore" a suo figlio Jaden (già visto in "La Ricerca della Felicità"), il remake in questione non ricalca fedelmente l’originale, ma ne prende molti spunti e li riarrangia a modo suo.
Nel titolo si parla di karate, ma qui al contrario c’è il kung fu. Il protagonista è molto più giovane (anche se si litiga sempre per una ragazza), ha dodici anni, e seppur lui non sia di origini italiche come Daniel Larusso, vive l’accoglienza che ricevono gli immigrati.
L’ambientazione è, infatti, quella della Cina di oggi, nuova meta proibita per genitori trasferiti per lavoro costretti a portarsi dietro i giovani pargoli.
Insomma, la domanda che vi starete ancora chiedendo è: quale’è il risultato finale del tutto? E’ inguardabile? No, assolutamente no. Ha una mezz’ora di troppo (2 ore e venti per un teen dramma è davvero eccessivo), risulta all’inizio eccessivamente didascalico nel spiegare sentimenti, azioni e reazioni, ma a poco a poco acquisisce una sua fluidità e, nei suoi limiti, tiene mediamente alto il coinvolgimento. Merito di una regia che ben sfrutta le sue due frecce a disposizione: la possibilità di mostrare una Cina colorata e cittadina (quasi mai scelta come set dalle grandi produzioni hollywoodiane) e la personalità di un irriconoscibile Jackie Chan.
Che non sarà Pat Morita, ma buca comunque lo schermo. La sceneggiatura non cade in nessuno scivolone, segue bene il percorso esistenziale del protagonista e il suo rapporto con la madre. Anche le solite quattro interpretazioni nobili sul significato del kung fu, passano senza fare danni. Indigeribile è solo la scena del ricordo del maestro Han sulla morte dei suoi familiari. Jaden Smith di par suo, avrà anche, sempre, gli occhioni del cane bastonato, ma un po’ di talento sembra averlo ereditato dai genitori. In definitiva, questo nuovo "Karate Kid" non diventerà un cult per le nuove generazioni come lo fu il precedente per le vecchie, ma è comunque un prodotto di buon livello all’interno del cinema commerciale di oggi.
La frase: "Mister Han, lei sa che c’è un auto nel suo salone?".
Andrea D'Addio
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