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In Nomine Satan







Il titolo potrebbe erroneamente spingere a pensare che si tratti di una storia dell'orrore a tematica demoniaca, invece, il primo lungometraggio diretto dal romano Emanuele Cerman - proveniente dagli short e da esperienze di attore - altro non è che il film che Stefano Calvagna - regista de "L'uomo spezzato" (2005) e "Il lupo" (2007) - avrebbe dovuto girare prendendo ispirazione dai fatti di cronaca nera riguardanti il gruppo di giovani squilibrati conosciuti come Bestie di Satana, responsabili di diversi omicidi e di un'induzione al suicidio. Del resto, pur non trovandosi dietro la macchina da presa, Calvagna non solo veste i panni di uno dei poliziotti protagonisti, ma produce e sceneggia - insieme a Emanuele Cerquiglini - i circa novantasei minuti di visione che partono dall'arresto di due ragazzi che, entrambi in stato di shock e sotto l'effetto di un mix di droghe e alcool, una volta ricoverati in ospedale confessano l'uccisione di una loro amica.
Da qui, attraverso il continuo alternarsi di passato e presente, si procede alla ricerca della verità, man mano che gli inquirenti arrivano sia a sospettare che i due assassini non erano soli, sia a scoprire presto la realtà del satanismo.
E non manca neppure un evidente omaggio twinpeaksiano a David Lynch nel corso della sequenza onirica che vede coinvolto il Fabriano Lioi visto nello zombie-movie "Eaters" (2011), mentre, come accade un po' in tutti gli elaborati realizzati a basso costo in HD, vengono ampiamente sfruttate le riprese a mano, le quali non possono fare a meno di conferire un taglio realistico (quasi da documentario) al tutto.
Però, complice la scelta di costruire la vicenda sulle indagini privilegiando i dialoghi, l'insieme tende spesso a peccare in eccessiva lentezza narrativa ed a risultare a tratti confuso; tanto che, al di là della non disprezzabile prova sfoggiata dal cast, comprendente anche lo stesso regista, la tensione si avverte di rado e l'impressione è quasi quella di trovarsi dinanzi a una delle molte trasmissioni televisive che provvedono a ricostruire con attori i fatti di cronaca nostrani.
Quindi, se l'eccessivamente lungo montaggio iniziale (era sulle due ore e dieci circa) lasciò pensare che l'operazione avrebbe potuto funzionare meglio come fiction in due parti destinata al piccolo schermo (del resto, inizialmente fu così che era stata pensata), questa versione ridotta non sembra discostarvisi molto; sebbene l'abbondanza di materiale eliminato contribuisca a giovare almeno un minimo alla fluidità generale di racconto. Ma, allo stesso tempo, ci si chiede cosa ne sarebbe venuto fuori se lo avesse diretto il succitato autore di "Senza paura" (2000), il cui mestiere preferito è affrontare sullo schermo l'attualità drammatica tricolore.

La frase:
"Devi sacrificare un’anima al diavolo, a Satana. Chi vuoi sacrificare?".

a cura di Francesco Lomuscio

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