Incidenti
Ultimamente pare sia tornata in gran voga la tendenza di fare film a episodi. Ci hanno provato (con esiti scarsissimi) Antonioni, Soderbergh e Wong Kar-Wai con "Eros", e non molta più fortuna hanno avuto Olmi, Kiarostami e Loach nell'altrettanto insipido e scialbo "Tickets". Sulla scia di questi due lavori, ma con un'esigenza più funzionale, legata ai limiti della produzione del seppur lodevole "Centro Sperimentale di Cinematografia" e al contesto in cui nascono i mediometraggi in questione, arriva questo "Incidenti", diretto da tre esordienti come "tesi" della loro permanenza al Centro.
Toni Trupia dirige il primo episodio, "Cari amici vicini e lontani", centrato sul mondo della tv e delle sue primedonne. Lando Buzzanca è un conduttore ossessionato dai fantasmi di un passato che rimane inchiodato dall'eterno riciclo televisivo. Forse l'anello più debole dei tre, Trupia sembra rifarsi alle suggestioni televisive che hanno segnato alcuna parte della produzione italiana recente, da "Ricordati di me" a "Il siero della vanità". E proprio all'ultimo Infascelli sembra richiamarsi il regista italiano, per suggestioni, tipizzazioni, ma anche per una fotografia opaca, dai riflessi plumbei.
Altrettanto inevitabile, vedendo "Il giorno in cui niente successe" di Ramon Sanchez, non fare un pensierino a "I diari della motocicletta", del brasiliano Salles.
Lo spagnolo Sanchez ne richiama ambienti (seppur, in linea teorica, il film sia collocato in Gran Bretagna), costumi e sensazioni. Il mediometraggio, portato avanti con la sola voce narrante di Tony Servillo e con l'uso di non più di dieci tra attori e comparse, illustra un particolare punto di vista sulla morte/scomparsa del celeberrimo Lawrence d'Arabia. Il film è gestito tramite l'intreccio tra disegno animato e girato, operazione usata di recente anche da Tarantino e Raimi, seppur con modi e finalità diverse, in un intreccio gestito dal narratore e dal ripetersi della stessa unica scena da diverse angolature. Forse promette un po' più di quanto poi alla fine non mantenga, ma non è affatto disprezzabile, anzi.
Chiude questo breve film-rassegna il serbo Popovic con "Niente di grave", che vede la partecipazione di Emilio Solfrizzi. L'ultimo episodio è quello più viscerale, più onirico ed evocativo, molto legato ad un certo tipo di canoni cinematografici "di tendenza". Sul ciglio della strada, in stato confusionale dopo un incidente, un uomo ripercorre gioie e dolori di una vita. L'uso della tecnica del passaggio dal colore al bianco e nero sembra ben dosata e ben ponderata, creando un'accurata e doverosa separazione tra stili di diversi linguaggi narrativi. Il regista serbo ha la pecca però, di perdersi in troppe dissolvenze incrociate, in troppi richiami rievocativi, pur mantenendo il flashback su un piano frammentario e non didascalico.
Operazione in definitiva interessante, anche se ci piacerebbe vedere i registi in questione confrontarsi con un progetto più ambizioso.
Chi (abbastanza) ben comincia...

La frase: "...non ha niente di grave, nulla di veramente grave..."

Pietro Salvatori

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