Apes Revolution - Il Pianeta Delle Scimmie
Se nel precedente "L’alba del pianeta delle scimmie" (2011) di Rupert Wyatt abbiamo fatto conoscenza con il Cesare splendidamente incarnato da Andy Serkis, scimpanzé esposto a sperimentazioni volte ad individuare una cura per il morbo di Alzheimer che veniva accudito dallo scienziato Will Rodman alias James Franco, in questa seconda parte del prequel alla popolare saga fantascientifica derivata dal romanzo "Il pianeta delle scimmie" di Pierre Boulle lo ritroviamo, insieme ai propri simili, ormai liberatosi dai suoi aguzzini umani e trasferitosi nella foresta di Muir, appena fuori San Francisco.
Perché la vicenda qui raccontata in 3D dal nuovo arrivato dietro la macchina da presa Matt Reeves – apprezzato autore di "Cloverfield" (2008) e "Blood story" (2010) – si svolge dieci anni dopo la fuga dei primati dal laboratorio di ricerche e la diffusione di un virus devastante, con la nazione di scimmie geneticamente mutate destinate a vedere la loro tranquillità turbata dall’arrivo di una banda di umani sopravvissuti.
Umani comprendenti l’ex architetto Malcolm, suo figlio adolescente Alexander e l’infermiera Ellie, rispettivamente con le fattezze di Jason Clarke, Kodi Smit-McPhee e Keri Russell, ma che, nonostante il raggiungimento di una fragile tregua, finiscono per ritrovarsi protagonisti di un conflitto uomo-animale per decidere a quale delle due specie spetterà il dominio della Terra.
Conflitto che coinvolge anche il leader del gruppo Dreyfus, ovvero Gary Oldman, e, soprattutto, l’inquietante Koba, bonobo dagli occhi bianchi e sfigurato da una cicatrice sul viso, sotto il cui mostruoso trucco si nasconde il Toby Kebbell di "The counselor - Il procuratore" (2013).
Del resto, spietato guerriero che nutre un forte odio nei confronti della razza umana, è proprio quest’ultimo a rappresentare, in un certo senso, la vera star della pellicola; antagonista, inoltre, di un memorabile duello finale contro il già citato Cesare, ancora una volta splendidamente realizzato dalla squadra d’infallibili effettisti della Weta e caratterizzato, come anche gli altri elementi appartenenti all’innumerevole popolazione di ominidi, da una evidente, notevole umanità.
Quella umanità la cui ragione, includendo anche la capacità di utilizzo delle armi, non può incarnare altro che un pericolo rispetto al più genuino istinto primordiale, sfoggiato dai pelosissimi "mostri" a cavallo nel corso di un tassello scimmiesco forse in parte penalizzato da una durata leggermente eccessiva (siamo sulle due ore e dieci circa) e, di conseguenza, non superiore al film di Wyatt, ma capace, comunque, di miscelare a dovere – con toni opportunamente dark e quasi horror – una tesa e lenta attesa all’alta spettacolarità che impreziosisce le lunghe e "focose" sequenze di lotta.
La frase:
"Sono delle scimmie parlanti, con delle lance grosse così".
a cura di Francesco Lomuscio
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