Il miracolo
"Il miracolo", il terzo film di Edordo Winspeare, è stato presentato nella Sezione principale della 60° Mostra del Cinema di Venezia. Dopo il notevole successo di critica del suo film precedente ("Sangue vivo" del 2000) quello del regista nato a Klagenfurt, ma che da sempre vive nel Salento, era sicuramente uno dei film più attesi.
Winspeare conferma le sue doti di regista di talento e di profondo conoscitore della terra in cui vive e dalla quale trae ispirazioni e sentimento. Sensazioni tradotte con capacità nelle aeree visioni di insieme dei paesaggi e dei personaggi che si fondono in attraenti panorami. Sensazioni espresse nel gusto del dettaglio o nelle morbide carrellate che aprono scenari e si allargano fino a scoppiare in grandangoli chiarissimi e luminosissimi, così atipici nel cinema di casa nostra.
Il tutto per riprendere una tipica città del nostro Meridione. Una città tanto sensuale nel suo cuore pulsante quanto brutale ai suoi confini epidermici, periferie di metano ed acciaio dove fumeggiano ostili le ciminiere.
Stiamo parlando di Taranto, dove Winspeare ambienta la sua storia. Una storia, in verità, piccola piccola, che racconta di un miracolo che solo in alcuni luoghi del mondo può accadere. La storia di Tonio (il piccolo Claudio D'Agostino) che, investito da un'automobile mentre era in bicicletta, si risveglia con un dono miracoloso: quello di curare le persone con la sola imposizione delle mani. Dote straordinaria che sembra aver salvato un malato dell'ospedale dove Tonio era ricoverato dopo l'incidente e che utilizza per curare il vecchio nonno, da tempo malato di cancro, di un suo compagno di scuola. La narrazione procede con buona scorrevolezza, priva però di sussulti, e durante la quale scopriamo che forse, i veri miracoli, sono quelli che Tonio spera di riuscire a compiere relazionandosi con le persone che gli stanno attorno. Curare il difficile rapporto dei suoi genitori, da tempo in grave crisi, ad esempio. Ma, soprattutto, curare la lacerata vita di Cinzia (Stefania Casciaro) la ragazza che guidava la macchina dell'incidente. Compiti gravosissimi per il piccolo Tonio il quale, unico probabilmente tra la pletora di adulti che gli ruotano attorno farneticando circa le sue presunte doti curative, si rende conto che il vero miracolo è quello che scaturisce dalla comprensione e dalla solidarietà.
La storia, essenziale e scarna, è rimpolpata da una sceneggiatura che ne arricchisce le sfumature, soprattutto stilistiche, ma lascia a desiderare nel tratteggio dei personaggi che appaiano, per diversi aspetti, prevedibili e stereotipati. Anche i dialoghi alternano momenti di apprezzabile lucidità ad improvvise cadute di tono che nuocciono a ciò che di buono nel film c'è. Come il messaggio, discretamente proposto, come la buona prova di alcuni interpreti (ai due ragazzi già citati aggiungerei l'altro bambino Rosario Sambito nella parte di Sarino, il compagno di scuola di Tonio), come il commento musicale composto da Cinzia Marzo e Donatello Pisanello ed eseguite dalla Officina Zoè.
Un film piccolino incastonato in un contesto che farebbe presagire opere di maggiore grandiosità.

Daniele Sesti

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