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I giochi dei grandi
Ci sono alcuni film grazie ai quali lo spettatore può trarre sani insegnamenti per la sua vita futura perché sono imperniati su alcune chiare ed inequivocabili regole di comportamento.
Ne "I giochi dei grandi" di John Curran ("Praise", 1999), americano emigrato in Australia, una di questa è senz'altro l'antico brocardo secondo il quale in amore la verità non va mai detta. Il rapporto di coppia scorre tranquillo e pacioso sulle placide onde dell'ipocrisia, ma è un ruscello destinato a diventare un torrente impetuoso se iniziamo a fare, o a farci, troppe domande.
Più o meno è quello che accade, senza il pathos annientatore di un tradimento latino, a due coppie della "civile" America quando si trovano ad affrontare problemi di infedeltà.
Tratto da due racconti di Andre Dubus ("Adultery" e "I giochi dei grandi" per l'appunto), il film racconta la storia dei tradimenti incrociati di due coppie nel mezzo del cammin di loro vita. Complicità, bugie, crudeltà che accompagnano le storie dei quattro vertici di un quadrato nel cui centro galleggiano rapporti di amicizia, frustrazioni professionali, sensi di colpa verso le proli e lucide strategie di sopravvivenza.
I quattro protagonisti (Mark Ruffalo e Laura Dern, Peter Krause e Naomi Wats) sprofondano, giorno dopo giorno, in una sorta di sabbia mobile dell'esistenza nella quale il nichilismo degli atteggiamenti sembra essere l'unica soluzione per una dolce morte dei sentimenti. In effetti, ciò che alle fine sembra cogliersi, a prescindere dalla scelta fatta dopo tanti sommovimenti amorosi, sia rimanere saldo al proprio focolare che farfalleggiare per altri lidi, è un pernicioso odore di fiori marci.
Quattro attori costretti a confrontarsi con una sceneggiatura che non è all'altezza della storia che dipana. Soprattutto i dialoghi sembrano troppo semplicistici e non riescono mai ad incidere sulla narrazione (come invece succede in "Closer" dove si racconta una vicenda simile) risultando in alcuni punti addirittura melodrammatici. La bravura degli interpreti (Mark Ruffalo su tutti, recita con l'indifferenza che solo i grandi attori sanno ostentare) non colma le pecche del plot al quale neanche la regia di Curran riesce a dare pregio. Anzi, la direzione dell'americano si adegua alla impotenza emotiva dei personaggi rivelandosi esasperatamente lenta quasi immobile, anche nella concitate scene di sesso furtivo.
Come detto, dunque, il film ci proietta in un nichilismo dei sentimenti e nell'assoluta atarassia di fronte agli eventi ai quali i personaggi partecipano passivamente e che culminano in una frase pronunciata da uno dei due mariti traditi e traditori: "E' più facile vivere con una donna che si sente amata", anche quando ad amarla è il tuo migliore amico...
Daniele Sesti
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