Iago
I come Iago. Se a Josh Hartnett avessero predetto che la sua interpretazione nel dimenticabile "O" diretto da Tim Blake Nelson avrebbe ispirato, anni dopo, un giovinetto italiota uscito sconfitto dalla battaglia con la dizione, probabilmente ci avrebbe riso su.
Piacerebbe anche a noi poterlo fare, in questo caso: ma non è certo l’ironia l’elemento portante dell’opera seconda made in De Biasi.
Qui il regista di "Come tu mi vuoi" attinge allo stesso humus culturale del suo lungometraggio d’esordio e ad una squadra d’interpreti d’analoga composizione, pur di scodellare sugli schermi nostrani Shakespeare versione 3.0: là dove Baz Luhrmann s’era cimentato, giocando e tradendo il "Romeo+Juliet" della consacrazione, Volfango lascia la platea basita e stordita dinanzi ad una carnevalata tardiva e sottilmente irritante.
La fabula è presto detta. Laguna, anno domini 2009 (o giù di lì): Iago, spiantato studente d’architettura con uno spiccatissimo accento capitolin-borgataro, ama Desdemona, extralusso collega di corso nonché figlia del Magnifico Rettore Brabanzio. Tra loro s’intromette, dritto dritto da Parigi, il nobile Otello, cocco di papà conciato (riportiamo testualmente la definizione del De Biasi) "come un tronista" e pronto a sottrarre al nostro sia i successi professionali che quelli d’amorosi sensi. La smodata ambizione, un macchinoso senso di rivalsa e i due validi aiutanti Emilia e Roderigo sosterranno le trame del protagonista per sovvertire il trionfo del moro e rivoltarglielo contro. Il resto è un pop drink all’arancia, bollicine comprese: l’effetto complessivo è quello della goliardica recita di fine anno lisergicamente improvvisata da un gruppo di liceali.
Non di rivisitazione qui si tratta, infatti, ma di vero e proprio imbarbarimento: un linguaggio apparentemente ignoto, quello del sarcasmo (indispensabile, in un’operazione così), viene ripetutamente brutalizzato col maglio insopportabile del pecoreccio a oltranza. Nell’adolescente medio può suggerire trasgressione, forse; in chiunque altro induce scoramento, laddove il Grande Bardo è suo malgrado ispiratore di una sorta di "Tre Metri Sulla Gondola" en travesti. Se, per diretta ammissione di chi l’ha scritto e diretto, "Iago" non è altro che "un prodotto di fascia intermedia", ecco quindi il teen-target di riferimento diventare punch-ball da imbottire di colpi bassi e istigazioni qualunquiste: la vendetta rancorosa è presentata, se non come virtù, giustificabile e coltivabile anelito - costi quel che costi. Inoltre, la doppiezza paga; l’essere è apparire; toglietemi tutto, ma non la mia griffe.
In un panorama ecatombale in cui il comprimario Lorenzo Gleijeses spicca felice, unico guitto in costume tra tanti guitti in maschera, duole vedere il buon Lavia prono a questa logica di declino indotto.
Il pubblico non è gretto. E’ che lo disegnano (e lo vorrebbero) così.

La frase: "Desdemona è intoccabile. E’ inarrivabile. E’ stronza".

Domitilla Pirro

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