Final Destination 5
Con un cast comprendente la Emma Bell di "Frozen" (2010) e il Miles Fisher visto in "Superhero - Il più dotato fra i supereroi" (2008), il quinto appuntamento con la morte invisibile – secondo girato in 3D, dopo il precedente "The final destination" (2009) di David Richard Ellis – ci concede giusto il tempo di fare conoscenza con i nuovi protagonisti, colleghi di lavoro diretti ad un raduno aziendale a bordo di un pullman, per poi farli finire vittime delle sanguinolente conseguenze del crollo di un ponte.
Una altamente spettacolare sequenza che, tra automezzi che precipitano in acqua, corpi infilzati e altri investiti da catrame bollente, ricorda sotto certi aspetti quella di apertura di "Brivido" (1986) di Stephen King, che si svolgeva su un ponte mobile impazzito; ma qui, come di consueto, il tutto si rivela l’ennesimo sogno premonitore di colui che – interpretato in questo caso da Nicholas D’Agosto – impedisce agli altri di finire nel disastro, rendendoli involontariamente i nuovi bersagli della Signora dalla falce.
Quindi, cambia lo sceneggiatore, che stavolta è l’Eric Heisserer che fu tra gli autori dello script del "Nightmare" 2010, ma non il meccanismo narrativo, atto come sempre a costruire la circa ora e mezza di visione sulla progressiva eliminazione dei personaggi, destinati a perire nelle maniere meno immaginabili agli occhi dello spettatore, portato abilmente e di continuo fuori strada.
E, mentre il Tony Todd visto nei primi due capitoli (se si esclude la sua presenza solo vocale nel terzo) torna a vestire i panni dell’inquietante coroner di colore, sono palestre, ambulatori oculistici e centri massaggi gestiti da orientali, tra l’altro, a fare da scenografie per la nuova violentissima mattanza, al cui interno la visione tridimensionale viene sfruttata in particolar modo per conferire l’impressione che pericolosi oggetti contundenti e schizzi di materia organica si scaglino verso il pubblico.
Per un tassello che Steven Quale – co-autore, insieme a James Cameron, del documentario "Aliens of the deep" (2005), nonché regista della seconda unità di "Titanic" (1997) e "Avatar" (2009) – confeziona senza dimenticare l’immancabile dose d’ironia, riuscendo sempre a cogliere di sorpresa; oltre a renderlo, grazie alle intuizioni a loro modo geniali che ne caratterizzano l’epilogo, tra i migliori di una serie sempre a rischio di ripetitività.
La frase:
"Alla morte non piace essere presa in giro".
a cura di Francesco Lomuscio
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