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ESP - Fenomeni paranormali
“Quello che vedrete non è un film, ok?”.
Anche se sappiamo benissimo che è tutto falso, è subito chiaro il primo lungometraggio firmato da Stuart e Colin Vicious (in arte The Vicious Brothers), il cui protagonista Lance Preston, interpretato da Sean Rogerson, si avventura insieme alla troupe di uno show televisivo che si occupa di dare la caccia ai fantasmi all’interno dell’Ospedale psichiatrico abbandonato di Collingwood, dove un tempo il dottor Friedkin (si tratterà di un omaggio al regista de “L’esorcista”?) praticava lobotomie; fino a quando venne ucciso dai suoi stessi pazienti ribellatisi.
Una premessa che richiama in parte alla memoria “Il mistero della casa sulla collina” (1999) di William Malone, ma destinata, come c’era da aspettarsi, a lasciare ben presto spazio al tipico look da film volto ad incarnare le fattezze di vero resoconto documentato di una tragedia avvenuta, la cui moda venne lanciata dal bluffissimo “The Blair witch project-Il mistero della strega di Blair” (1999).
E diciamo che la scelta di tirare in ballo la tematica del reality show finisce per accostare la pellicola anche allo spagnolo “[Rec]” (2007) di Jaume Balagueró e Paco Plaza, ma, tra finte interviste agli abitanti del luogo, continuo vagare per i cupi corridoi ed abbondanza di soggettive impazzite eseguite tramite camera a mano, è non poco riconoscibile l’influenza da parte del lungometraggio di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, tanto che viene quasi da pensare che siano più di dieci anni che una determinata fetta del cinema horror non faccia altro che risfruttarne i meccanismi.
Ma, sebbene si respiri anche una certa aria alla “Paranormal activity” (2007) di Oren Peli, impressione conferita soprattutto dalle inquadrature fisse destinate ad immortalare oggetti che si spostano e porte che si aprono e chiudono da sole, l’esordio dei Vicious Brothers migliora fortunatamente strada facendo, senza lasciare lo spettatore con l’amaro in bocca, come accaduto con i due citati punti di riferimento che chiudevano in maniera improvvisa dopo averlo tenuto sulle spine – anche in maniera piuttosto noiosa – per tutta la visione.
Quindi, nonostante la lunga attesa disturbata solo da qualche segnale premonitore (per esempio, dei graffi che compaiono sulla schiena di una ragazza) e dall’immancabile ricorso al sonoro per terrorizzare, l’insieme si riscatta nella sua fase conclusiva, assumendo il sapore di uno slasher grazie ai diversi omicidi mostrati.
Con un momento altamente disgustoso, finendo per risultare abbastanza scorrevole e confezionato con una certa professionalità, senza spingere a gridare al miracolo.
La frase: "L’importante è che il risultato alla fine sia spaventoso".
Mirko Lomuscio
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