Due partite
Un cast di sole donne per quello che potremmo definire il "The Women" (George Cukor, 1939) di casa nostra.

"Due partite" vede due generazioni di donne, quattro madri e quattro figlie, discutere e confrontarsi sull’argomento "donna". A legarle, oltre la stretta parentela, anche una ipotetica partita a carte giocata nel medesimo salotto. Dagli anni Sessanta della prima generazione si passa agli anni Novanta della seconda. I colori vanno via, la gioia ha lasciato il posto alla drammaticità della morte, ma gli argomenti e i dubbi sono sempre gli stessi...

La commedia teatrale firmata da Cristina Comencini, da cui questo film trae ispirazione, ha realizzato a ogni replica il tutto esaurito. Reduce di tale successo, la casa di distribuzione Cattleya porta sul grande schermo la medesima commedia cambiando poco o niente all’opera originale. Le differenze sono infatti sostanzialmente due. La prima è che a dirigere questa versione v’è un uomo, Enzo Monteleone, autore soprattutto di fiction e documentari. La seconda è che il cast si è, felicemente, arricchito di quattro nomi e cioè della energica Carolina Crescentini, la combattiva Claudia Pandolfi, la bella Alba Rohrwacher e la cinica Paola Cortellesi. Le quattro che avevano recitato a teatro, invece, permangono Margherita Buy, Isabella Ferrari e Marina Massironi nel medesimo ruolo di mamme e con Valeria Milillo nel ruolo, questa volta, di una delle figlie.

Le differenze si esauriscono qui e, purtroppo, insieme agli argomenti. Il fatto che la commedia teatrale della Comencini abbia riscosso un notevole successo non è, di per sé, sinonimo di qualità, soprattutto considerando la crisi nera che ha colpito anche il mondo dello spettacolo e primo fra tutti proprio il teatro. A ben vedere, l’opera della Comencini tratteggia figure femminili tagliate con l’accetta, banalotte e legate a un’idea di "donna" profondamente maschilista e priva di spessore. Donne mamme, insicure, all’inseguimento di un’affermazione nella vita che non arriva mai, né dall’amore né dal lavoro. Figure più che altro impalpabili e stereotipate che richiamano un immaginario femminile noiosamente arcaico.
Inoltre, non v’è emozione nel testo. Tutto ci viene raccontato, ma nulla è vissuto, nemmeno la morte. Rimpiangiamo Goldoni, Ibsen e Checov. Ricordiamoci "La locandiera", "Casa di bambola", e "Tre sorelle". Prima di questo cinema compiaciuto e di un teatro senza spessore c’erano loro, con le loro opere e la loro storia. Gli addetti ai lavori si facessero un bel ripasso.

Diego Altobelli

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