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Buon Anno Sarajevo











Nella Sarajevo del dopoguerra, Rahima (Marija Pikić) e Nedim (Ismir Gagula), due fratelli orfani di entrambi i genitori scomparsi durante il conflitto che alla fine del secolo scorso colpì la Bosnia-Erzegovina, vivono entrambi con il solo stipendio di lei. La protagonista è cresciuta durante la guerra e si è presa cura di entrambi i fratelli (il maggiore dei tre non vive con loro) ma non sa che il minore le nasconde molte cose: a scuola spesso si assenta e i suoi comportamenti non sono sempre esemplari; un giorno Rahima viene chiamata dalla preside perché Nedim ha picchiato un coetaneo figlio di un ministro. Da questo piccolo episodio parte una serie di situazioni sfavorevoli che non faciliteranno certo la vita dei due, già piuttosto dura.
La caratterizzazione del personaggio di Rahima è visivamente molto forte: senza un filo di trucco, con il velo sempre ben stretto in testa per coprire accuratamente i capelli e vestita con abiti anonimi per niente femminili e dai colori spenti. La donna sembra portare sempre con sé non solo il lutto della perdita dei genitori, ma dell’intera esperienza della guerra, in tutte le sue sfaccettature.
La protagonista di "Buon anno Sarajevo" è ancora vittima di quei ricordi e forse lo sarà per sempre. Parla poco e sorride ancora meno, ma quando viene attaccata tira fuori una forza infinita che le permette di ammutolire il suo interlocutore con poche durissime parole.
Le vicende dei due fratelli sono solo una piccola parte del contenuto del film: la sceneggiatura, scritta dalla stessa regista (che poi è anche produttrice) Aida Begić, è ricchissima di sfumature che abbracciano guerra e crisi economica, rapporti umani e religione.
Apparentemente, il conflitto terminato nemmeno venti anni prima non si percepisce; a ricordarcelo sono dei filmati amatoriali che punteggiano il film, realizzati durante le giornate del conflitto. Si tratta di immagini molto forti perché "reali", stampate nella mente di Rahima.
L’intero lavoro della Begić è molto coraggioso sia sotto il punto vista della forma che del contenuto; "Buon anno Sarajevo" è composto quasi interamente da inquadrature lunghissime (anche di alcuni minuti) che, da una parte dimostrano la padronanza tecnica della regista e l’abilità degli attori, ma dall’altra rischiano di abbassare il livello dell’attenzione di chi guarda. In effetti, in alcuni punti succede, soprattutto a causa della "semplicità" degli avvenimenti. Il coraggio e l’azzardo del contenuto sono tutti da ricondurre alla rappresentazione della classe politica data dall’autrice: decisamente poco corretta e facilmente corruttibile.
Si tratta di un film duro, primordiale, persino grezzo. Ma di incredibile impatto.

La frase:
"Maledetto capodanno, lo odio!".

a cura di Fabiola Fortuna

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