Extrema - Al limite della vendetta
Revenge movie, rape and revenge o semplicemente R’n’R, tutti nomignoli usati per definire il filone costituito da pellicole caratterizzate da trame basate in maniera abbastanza banale sullo stupro e la successiva vendetta, il cui apice venne raggiunto negli Stati Uniti durante gli Anni Settanta grazie a titoli come “L’ultima casa a sinistra” (1972) di Wes Craven e “Non violentate Jennifer” (1978) di Meir Zarchi, i quali non mancarono di generare più o meno apprezzabili imitazioni made in Italy, da “L’ultimo treno della notte” (1975) di Aldo Lado a “La casa sperduta nel parco” (1980) di Ruggero Deodato.
Filone portato nel nuovo millennio all’attenzione del grande pubblico tramite lavori come “Irréversible” (2002) di Gaspar Noé e il tarantiniano “Kill Bill” (2003/2004), cui va ora ad aggiungersi il primo lungometraggio diretto da Talia Lugacy, che ne firma anche la sceneggiatura insieme all’esordiente Brian Priest.
Infatti “Descent” – come s’intitola in patria – sfrutta il classico plot alla base del genere, con la bella Rosario”Sette anime”Dawson nei panni della timida studentessa Maya che, corteggiata e in seguito violentata da un certo Jared, con il volto del Chad Faust visto in “Tamara toccata dal fuoco” (2005), precipita nel buio totale per poi decidere di ricorrere alla spietata vendetta supportata dall’Amico Adrian, interpretato dal televisivo Marcus Patrick.
Ma, se inizialmente sembra quasi di avvertire una certa teatralità, l’insieme finisce per lasciar emergere un’evidente impronta amatoriale generale testimoniata in particolar modo dal frequente ricorso a ristretti campi di ripresa e sequenze ambientate in poco curati interni.
Quindi, nella noiosa piattezza regnante, il massimo della trasgressione (visivamente parlando) lo si tocca con un frontal nudity del citato Faust, ma nel corso dei soporiferi e freddi 100 minuti di visione totali non si riesce in alcun modo a toccare la sensibilità dello spettatore.
Salvo forse per l’attesissima riscossa, la quale arriva soltanto nell’epilogo apparendo squallida e niente più, per quanto voglia racchiudere un giusto messaggio anti-maschilismo violento. E viene da chiedersi in maniera seria come sia possibile che un’attrice del calibro della Dawson abbia accettato non solo d’interpretare un obbrobrio del genere, ma perfino di finanziarlo.

La frase: "Le illusioni ti entrano dentro e ti logorano".

Francesco Lomuscio

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