Ritorno a Cold Mountain
Cold Mountain è un paesino della Carolina del Nord da dove Inman (Jude Law) parte per combattere per il vecchio Sud contro gli yankees del Nord. A Cold Mountain Inman aveva conosciuto Ada (Nicole Kidman), figlia di un Pastore (Donald Sutherland) giunto lì per predicare. Per tornare a Cold Mountain Inman inizia un'odissea che lo porterà dall'ospedale militare dal quale fugge come disertore ad attraversare fiumi e monti, non prima però di aver preso coscienza dell'insensatezza della guerra e della sua tragica brutalità. A Cold Mountain Ada attende il suo amato, con il quale aveva scambiato solo un bacio appassionato, aiutata da Ruby (Renèe Zellweger) a mandare avanti la fattoria che la sua educazione cittadina non le consentiva di badare. Per tutti, Cold Mountain sembra essere un luogo della mente, metafora di anelati sentimenti come pace, amore, serenità.
Che Anthony Minghella fosse un mirabile affabulatore lo aveva già dimostrato con le sue precedenti produzioni. Basti ricordare l'esemplare iperbole narrativa de "Il paziente inglese" per averne una conferma. Doti di prosatore che il best seller di Charles Frazier, da cui è stato tratto questo film, gli permette di dispiegare, volando alto sui sentimenti, sulle emozioni ed anche sugli ideali. Infatti, con "Ritorno a Cold Mountain", il regista inglese di origine italiana, può raccontare una storia dai contenuti semplici e naturali come la genuina filosofia di Ruby (la Zellweger è davvero molto brava) o librarsi su valori come la pace e la fratellanza fra gli uomini.
Minghella lo fa adoperando tutti i mezzi che l'arte del cinema gli mette a disposizione. L'apocalittica scena iniziale dell'esplosione del campo sudista, le riprese dei corpi dopo la battaglia di Petersburg con colori ed ombre da bolgia dantesca, l'uso del flashback per illustrarci il prologo della storia, la voce fuori campo dei protagonisti che leggono lettere mai arrivate al destinatario, l'indugiare su particolari truculenti: tutti artifizi che Minghella impiega come fosse un prestigiatore e che indubbiamente colpiscono il pubblico di una sala cinematografica. Il tutto è poi ancor più sublimato se ci si può permettere di avvalersi di un cast di eccezione: oltre ai già nominati attori - anche se la Kidman appare un pò sacrificata nel ruolo della verginella in attesa mentre Jude Law dà il meglio di sè nelle scene in cui appare sconvolto e allucinato - ricordiamo la presenza di Philip Seymour Hoffman ("La 25ª ora"), Giovanni Ribisi ("The gift"), Natalie Portman ("Guerre stellari - I-II") e Brendan Gleeson ("Gangs of New York"). Se aggiungiamo le preziose scenografie di Dante Ferretti e l'appropriata musica composta da Gabriel Yared, è evidente che il prodotto è stato concepito per stupire e, naturalmente, come è giusto che sia, per fare cassetta.
Detto questo, però, non possiamo tacere che il film ricorda troppo, in alcune parti, il celeberrimo "Via col vento" - mancano solo i negri che parlano con l'infinito - e che le figure dei due protagonisti sono tagliate con l'accetta. Lei, magnifico esempio di donna della frontiera, pronta a rimboccarsi le maniche per difendere la proprietà e, come Penelope, in eterna attesa del ritorno del suo uomo; lui, integro nello spirito, incorruttibilmente ferreo nel suo amore, coraggioso ed altruista come solo un vero americano sa essere: stereotipi già visti che, forse, qualche maggior pennellata di chiaroscuro avrebbe reso più umani e tutto sommato più simpatici. Ma tant'è, da un film con queste prerogative forse non è lecito aspettarsi nulla di diverso anche, se confesso, che gli occhi della Kidman che piangono sotto la neve valgono forse il prezzo del biglietto. Ridotto.

Daniele Sesti

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