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Closed Curtain









Uno scrittore entra in casa e sembra volersi nascondere da qualcosa; tiene le luci spente, applica dei tendoni neri alle finestre ed è in uno stato di continua allerta. Evita ogni contatto con l’esterno e l’unica compagnia è rappresentata dal suo cane. L’equilibrio comincia a spezzarsi quando due sconosciuti entrano in casa chiedendo rifugio… Dopo "This Is not a Film", Jafar Panahi realizza un'altra opera indissolubilmente legata al suo vissuto, formalmente diversa da quel "docu-diario" ma forse ancor più intima e complessa. Descrive un luogo della mente, ovattato, dove regna sovrana la paura e che mette al bando la libertà di esprimersi. Parte come la storia di un uomo vittima dell’ossessione e si sviluppa in una riflessione meta-cinematografica dal valore trasversale e riferibile, forse, all'intero universo dell’arte: qual è il confine tra la piena libertà e i limiti dettati dall'esterno?
Ribaltando in più occasioni le carte in regola, Panahi gioca con le nostre aspettative e ci porta in una dimensione intima, si denuda e si interroga, dando così al film il sapore di una vera e propria confessione. Un’operazione difficile che evidenzia la capacità di sintesi del suo regista (qui in coppia con il protagonista Kamboziya Partovi) e dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, il suo sguardo insieme delicato ed incisivo, che asseconda lo svilupparsi della trama e a tratti tocca picchi d’intensità e forza espressiva notevolissimi.
In situazioni del genere il rischio di cadere nell'autoreferenziale è sempre dietro l’angolo, e non si può dire che “Pardè” ne sia del tutto immune: più i piani si sovrappongono, più lo spettatore è messo a dura prova e il film ne risenta in fluidità e chiarezza espositiva, in particolare nella seconda parte, quando la trama diventa quasi un pretesto e Panahi mescola le chiavi di interpretazione fino a distruggere la struttura narrativa e a darle forma di un autentico flusso di pensieri.
Ma nonostante questi limiti, o forse (anche) in virtù di essi, “Pardè” colpisce per la sua estrema sincerità, per il suo acume e un desiderio di libertà tanto sbandierato quanto effettivamente raggiunto nella forma. Un piccolo grido d’indipendenza e, in un certo senso, di anarchia.

La frase:
"Penso non debba… Cosa? Lui non deve aspettare".

a cura di Stefano La Rosa

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