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Chi scriverà la nostra storiaLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Leonardo Mezzelani23 gennaio 2019Voto: 6.0
Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche in missione in Europa, dopo essere giunti al campo di concentramento di Auschwitz e averne liberato gli ultimi superstiti, si trovarono di fronte ad uno degli atti più atroci mai compiuti nella storia dell’umanità. Ogni anno, in quella data, il mondo è chiamato a fermarsi per riflettere.
L’arte come sempre, non può tacere, e ogni anno, in questo triste giorno, si può partecipare a concerti, spettacoli teatrali, mostre e, soprattutto, si possono guardare film commemorativi. Nonostante le innumerevoli pellicole che trattano il tema, ogni tanto, qualcuno riesce a staccarsi dalla massa, a spiccare per audacia narrativa o tecnica (ogni riferimento a “Il Figlio di Saul” NON è puramente casuale). Tra le nuove uscite di quest’anno spicca un titolo particolare, che cerca di raccontare gli eventi storici da un altro punto di vista: “Chi scriverà la nostra storia”. Il documentario, con la regia Roberta Grossman, racconta tutto il percorso che ha avuto il nazismo in Polonia focalizzandosi su quanto accaduto a Varsavia. Nel novembre del 1940, dopo aver invaso e conquistato la nazione, i nazisti rinchiudono gli ebrei di Varsavia (la stragrande maggioranza dei cittadini) in un ghetto. Questo è solo l’inizio dell’ondata di folle violenza che si scatenerà di lì a qualche anno. L’uomo, però, nella sua natura, ha un innato istinto di sopravvivenza che lo porta a resistere. Così, tra le mura del ghetto, nasce una società segreta formata da intellettuali e guidato dallo storico Emanuel Ringelblum, conosciuto con il nome in codice Oyneg Shabes (“La gioia del Sabato” in yiddish). L’obiettivo? Raccogliere quante più testimonianze possibili e nasconderle, di modo che un giorno, la vera storia potesse essere raccontata. Ora, dopo quasi 80 anni, “Chi scriverà la nostra storia” vuole raccontare al cinema quelle vicende. Del coraggio di quelle donne e uomini che hanno rischiato la loro vita, hanno messo in gioco tutto quello che avevano per contrastare il male assoluto con un’unica arma: la memoria. Lo fa usando come medium (nella versione originale) le voci del premio Oscar Adrien Brody e della candidata Oscar Joan Allen, che leggono stralci tratti dall’omonimo libro dello Storico Samuel Kassov. Il docufilm intreccia sapientemente immagini d’archivio, interviste e spezzoni di fiction cercando di portare lo spettatore all’interno delle mura del ghetto. Ad essere onesti, questa combo sembra funzionare abbastanza, almeno nella prima parte arriva bene l’idea di cosa significasse vivere nella Varsavia pre e post occupazione nazista. La ricostruzione storica, infatti è pressoché perfetta. Pare che il team addetto alle scenografie, infatti, abbia lavorato sei mesi con gli studiosi prima di iniziare le riprese. Questo processo ha fatto sì che ogni penna, laccio da scarpe e colore delle pareti fosse perfetto per l'epoca, nulla è stato lasciato al caso. L’obiettivo principale, stando alle parole della regista, sembrerebbe essere quello di riportare sullo schermo un fatto storico nudo e crudo. Grazie al frequente utilizzo di materiale d’archivio (riprese video e foto), che lasciano be poco spazio all’immaginazione mostrando la realtà in tutta la sua orribile crudezza, l’obiettivo sembrerebbe raggiunto. Se si dovesse giudicare, invece, il documentario da un punto di vista artistico, o cinematografico, che dir si voglia, il discorso sarebbe un pelino differente. In effetti il prodotto, nonostante le parole della regista, non porta nulla di innovativo sullo schermo. La struttura è molto simile a quella di un qualsiasi documentario di History Channel, né più, né meno. Al netto di quanto scritto prima, questi appunti sembrano quasi superficiali, e in effetti lo sono. “Chi racconterà la nostra storia” vale la pena di essere visto, se non altro per conoscere vicende poche note e dare il giusto tributo a vite umane che tanto hanno sacrificato per farcele conoscere. La frase dal film:
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