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Cetto c'è senzadubbiamente

La recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com

di Francesco Lomuscio19 novembre 2019Voto: 6.0
 

  • Foto dal film Cetto c'è senzadubbiamente
  • Foto dal film Cetto c'è senzadubbiamente
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L’attesa è finita: il fallimento della Repubblica è sotto gli occhi di tutti e c’è necessità di trovare l’uomo giusto che possa diventare il re.
Ma chi lo avrebbe mai detto che costui sarebbe potuto essere il depravato, ignorante, maschilista e corrotto imprenditore calabrese Cetto La Qualunque, il quale, eletto a sindaco della sua cittadina Marina di Sopra in “Qualunquemente”, del 2011, risiede ora in Germania, da lui considerata terra di conquiste in cui ha aperto una catena di ristoranti e pizzerie di successo e dove vive insieme alla giovane e bella compagna tedesca Petra alias Caterina Shulha, con tanto di suoceri neonazisti?
Quindi, dopo essere tornato ad interpretarlo nel 2012 in “Tutto tutto niente niente”, ricoprendo in quel caso addirittura tre ruoli, Antonio Albanese è per la terza volta il discutibilissimo individuo che, convinto del fatto che “gli italiani si bevono qualsiasi minchiata da sempre”, non può fare a meno di rappresentare la comica incarnazione da grande schermo dei difetti e vizi facenti spesso parte delle figure impegnate a governare il paese degli spaghetti.
Individuo che, qui inizialmente sfoggiante una capigliatura bionda proto-Donald Trump, si vede costretto a fare rientro in Italia dopo aver ricevuto la notizia dell’aggravarsi delle condizioni di salute di un’amata zia che lo ha cresciuto, la quale gli rivela che il suo vero padre fu, in realtà, un principe che non ha mai voluto riconoscerlo. E, mentre apprendiamo che la ex moglie Carmen, dal volto di Lorenza Indovina, è ormai una suora che non può fare altro che detestarlo, è il mai disprezzabile Gianfelice Imparato a vestire i panni dell’aristocratico Venanzio che provvede ad impartirgli gli insegnamenti necessari per poter frequentare il mondo dei nobili. Un mondo fatto di cacce alla volpe, rigida educazione a tavola e, dunque, tutto ciò che non appartiene assolutamente alla disgustosa personalità di Cetto, il quale non manca neppure di scontrarsi di nuovo con l’onesto figlio Melo, ovvero Davide Giordano, nel frattempo divenuto sindaco a sua volta.
Man mano che, tra storpiature di parole (citiamo soltanto il letto a baldracchino), un imminente matrimonio di facciata e discorsi riguardanti il bike sharing, le piste ciclabili e i vaccini, l’ascesa del grottesco monarca del Regno delle due Calabrie (!!!) non appare neppure esente da punte di scorrettezza che sono sempre più insolite all’interno della fastidiosamente edulcorata comicità tricolore d’inizio terzo millennio.
Del resto, se da un lato La Qualunque ci ricorda (purtroppo avendo ragione) che la politica sembra che cambia, ma, in realtà, tutto rimane sempre come prima, dall’altro non si risparmia di osservare “Se qualcosa va male, prenditela coi negri, funziona sempre”. Nel corso di oltre un’ora e mezza di visione che, sotto la regia del Giulio Manfredonia che già si era occupato dei due precedenti capitoli, riesce nell’impresa di strappare una sufficiente dose di risate... fino ad un inaspettato risvolto di sceneggiatura che precede, però, una forse eccessivamente sbrigativa conclusione.


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