Caterina va in città
Se dovessimo limitarci ad analizzare i personaggi di "Caterina va in città", l'ultimo film di Paolo Virzì, ci troveremmo dinnanzi ad una galleria di maschere che ben rappresentano il buono (poco) ed il cattivo (molto) della società italiana di oggi, ma anche di ieri e dell'altro ieri. Tutti personaggi ben disegnati e caratterizzati con cura ed arguzia, sbozzati in poliedriche sfaccettature e che compiono un percorso che nell'arco del film li condurrà ad una presa di coscienza, ora gravemente dolorosa, ora di impatto più lieve e meno amaro. Peraltro, il regista toscano è solito stregarci con la forza dei personaggi dei suoi film e nella costruzione e descrizione degli stessi ha sempre dimostrato le caratteristiche migliori.
Anche "Caterina va in città" è abitato da una sfilata di personaggi che conquistano l'attenzione dello spettatore: dal padre di Caterina (Sergio Castellitto) professore di ragioneria, insoddisfatto del proprio lavoro e con ambizioni letterarie, alla madre di Caterina (Margherita Buy) incapace di distinguere la realtà dalla finzione, afflitta da un'abulia latente, alla stessa Caterina (Alice Teghil) ingenua, sprovveduta, vittima sempre sorridente. Accanto a loro, più limitati ma non meno importanti, vorticano una scolaresca di terza media equamente divisa tra fasci e compagni; una ricca famiglia di intellettuali di sinistra, sconclusionati ed inconcludenti, incapaci di educare i propri figli, troppo impegnati ad impegnarsi; una ricca famiglia di destra, con tanto di padre sottosegretario con un passato fascista ed un futuro di forzato della democrazia, incapaci, anch'essi, di educare decentemente la propria prole, troppo impegnati a disimpegnarsi; un ragazzo australiano che spia Caterina dalla finestra di fronte, una zia malata e gli immancabili rozzi parenti di provincia. Il tutto raccontato dalla voce narrante della piccola Caterina.
Quanti ne abbiamo visti di questi film? Tanti, tantissimi, troppi. E non bisogna andar lontano perché basta rimanere nell'ambito della precedente produzione di Virzì per ritrovare l'ottuso intellettuale di sinistra, il rozzo ed ignorante qualunquista di destra, la casalinga insoddisfatta, l'adolescente che matura grazie alle dure prove della vita. Basta andarsi a rivedere "Ovosodo", ma anche di "Ferie d'Agosto" o l'ultimo - certamente più divertente - "My name is Tanino". Insomma, abbiamo capito che c'è del male nella destra, e lo sapevamo, ma c'è del male anche nella sinistra, non c'è bisogno di ricordarcelo ad ogni piè sospinto. Così come è ormai evidente che sia che sei nato in un quartiere di Livorno, o in un paesino della Sicilia, o vivi in una grande metropoli come Roma, la via della maturazione che da bambino conduce a diventare un adolescente fino a divenire un adulto è irta di delusioni cocenti e scottanti ritorni alla realtà.
Francamente, non c'era bisogno di quest'altro film per ribadire concetti già affermati. Film, dal quale, chissà perché, ci aspettavamo qualcosa di diverso. Mi dispiace dover trarre questo giudizio negativo perché Virzì è un autore che amo e che, spero di continuare ad amare: l'unico vero continuatore del genere della cosiddetta commedia all'italiana. C'è bisogno, però, di un colpo d'ali che "Caterina" sembra non avere pur rimanendo un'opera comunque di un certo valore, impreziosita com'è da un cast di altissimo livello, tutto italiano. Oltre ai bravissimi Castellitto e Buy, infatti, è giusto ricordare anche Flavio Bucci e Caludio Amendola, autori di due pregevoli caratterizzazioni.
Tra le altre, segnaliamo le amichevole comparsate di Michele Placido, Maurizio Costanzo e Roberto Benigni in versione girotondista.

Daniele Sesti

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