Caribbean Basterds
Dell’atteso ritorno dietro la macchina da presa per il romano classe 1938 Enzo G. Castellari, il quale non confezionava un film per il grande schermo dai tempi del tardo western “Jonathan degli orsi”, risalente all’ormai lontano 1993, si è tanto parlato in seguito all’uscita del tarantiniano “Bastardi senza gloria”, in cui fa una piccola apparizione perché ispirato al suo “Quel maledetto treno blindato”, del 1978.
Omaggio che l’autore de “L’ultimo squalo” ricambia chiamando Diego Tarantino il boss del traffico di droga in cui finiscono per ritrovarsi coinvolti gli incestuosi fratelli Roy e Linda e il fidanzato di lei José, tutti figli di ricchi commercianti d’armi che, rispettivamente interpretati da Vik C. Ryan, Eleonora Albrecht e Maximiliano Hernando Bruno, decidono di trasformarsi in “pirati della giustizia” per una forma di ribellione nei confronti delle loro famiglie.
Con molti nudi femminili nel calderone, sono infatti stupri, rapine e violenze assortite a dominare lo script per mano di Sandro”Due tigri”Cecca e Luca”Ultimi della classe”Biglione, il cui evidente fine, al di là di un’appena accennato messaggio di denuncia anti-bellico, è quello di riportare sullo schermo tricolore quell’eccessivo senso dell’exploitation che ci permise in passato di distinguerci in mezzo all’infinità di maggiormente edulcorate produzioni di genere internazionali.
E, a partire dal look-maschera dei tre giustizieri volti a trasformarsi in spietati criminali, la pellicola da cui Castellari – presente anche in un “doloroso” cameo – attinge maggiormente è “Arancia meccanica” di Stanley Kubrick, che viene perfino criticato attraverso la frase “Pensa a quante cazzate del genere ha ispirato quel film”.
Ma, tra recitazione nel complesso mediocre e comicità involontaria intuibile in diverse situazioni, il tocco di colui che fu in grado di regalarci veri e propri cult del calibro di “Keoma” e “Il grande racket” è riconoscibile soltanto dopo una non disprezzabile sparatoria tempestata di schizzi di sangue al ralenti proto-"Il mucchio selvaggio", la quale va ad inaugurare la parte più riuscita dell'operazione.
La parte finale, praticamente, non priva di citazioni dal George Roy Hill di “Butch Cassidy” e dall’Arthur Penn di “Gangster story” ma che, più vicina alle ultime, povere produzioni in digitale sfornate dal compianto Bruno Mattei che ai precedenti lavori del regista de “Il cittadino si ribella”, non riesce comunque a privare lo spettatore della tutt’altro che confortante sensazione di avere appena assistito ad una soap sudamericana.

La frase: "Siamo diventati gli usurai della morte papà".

Francesco Lomuscio

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