Cappuccetto Rosso Sangue
A dispetto del titolo, la fiaba popolare europea che invita implicitamente a non rivolgere la parola agli sconosciuti occupa, in realtà, soltanto gli ultimi venti minuti del lungometraggio prodotto dalla Appian Way di Leonardo Di Caprio, che vede alla regia la Catherine Hardwicke cui dobbiamo "Thirteen-Tredici anni" (2003) e il primo "Twilight" (2008).
Infatti, con la Virginia Madsen di "Sideways - In viaggio con Jack" (2004) nei panni della mamma, la vincitrice del premio Oscar Julie Christie nel ruolo della nonna e il Gary Oldman di "Léon" (1994) impegnato a concedere anima e corpo al cacciatore Solomon, quella che viene raccontata è la vicenda della giovane Valerie, la quale, interpretata dalla Amanda Seyfried di "Letters to Juliet" (2010), vive a Daggerhorn, dove gli abitanti sacrificano un animale, ogni notte di plenilunio, per soddisfare l’appetito di un feroce lupo mannaro, che sembra essere interessato a lei in occasione della grande luna rosso-sangue.
E, mentre assistiamo anche alle vicissitudini sentimentali della ragazza, promessa in sposa al ricco Henry alias Max Irons ma innamorata del taglialegna Peter, con le fattezze dello Shiloh Fernandez di "Deadgirl" (2008), la poco coinvolgente atmosfera che aveva caratterizzato la succitata pellicola apristrada alla saga riguardante l’amore vampiresco tra Bella Swan ed Edward Cullen sembra essere replicata già a partire dai titoli di testa, accompagnati da ampie panoramiche su paesaggi naturali.
Impressione riconfermata anche dall’entrata in scena del licantropone simil-pelouche che tanto ricorda quelli visti nei sequel del film della Hardwicke, oltre a richiamare alla memoria il Gmork de "La storia infinita" (1994) nelle sequenze che lo trovano impegnato a dialogare con la protagonista.
Lo spettatore, quindi, proprio come durante la visione del kinghiano "Unico indizio: la luna piena" (1985), viene invitato a scoprire la sua vera identità, alle prese, però, con la noia imperante dovuta alla piattezza narrativa generale, man mano che l’insieme rischia di essere associato, soprattutto nell’ambientazione, anche al tutt’altro che riuscito "Licantropia" (2004) di Grant Harvey.
Allora, nell’apprendere che lo sceneggiatore David Johnson meglio seppe fare al servizio di Jaume Collet-Serra per il bellissimo "Orphan" (2009), tanto vale recuperare titoli che in maniera decisamente più originale seppero rileggere in chiave licantropica la favola della bambina dal cestino; dal famosissimo "In compagnia dei lupi" (1984) di Neil Jordan alle meno conosciute antologie horror "Buonanotte Brian" (1986) di Jeffrey Delman e "Trick ‘r treat" (2007) di Michael Dougherty.

La frase: "C’è un terribile lupo mannaro e qualcuno lo deve fermare".

Francesco Lomuscio

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