Café Lumière
Yoko, una scrittrice specializzata in argomenti musicali, rientra a Tokio dopo un viaggio a Taiwan per motivi di lavoro. Tornata a casa comunica ai genitori di essere incinta e di voler portare avanti questa gravidanza da sola. I genitori rimangono turbati così come il suo amico Hajime padrone di una libreria di libri di seconda mano che spesso ha aiutato Yoko nelle sue ricerche bibliografiche. Tra i due c'è una tenera e fertile amicizia che potrà essere di aiuto per Yoko in un momento così delicato della sua vita.

Non eccede certo in vitruosismi stilistici Hou Hsiao-Hsien nel suo modo di fare cinema.

In "Cafè Lumiere" - presentato in concorso alla 61ª Mostra del Cinema di Venezia - da lui stesso definito come una storia di Tokio del 21º secolo, non vi sono sequenze più brevi di almeno 10 secondi. Il regista cinese ma di adozione giapponese, piazza la macchina da presa in un punto ed i personaggi si muovono - se si muovono - nella rigida fissità dell'inquadratura la cui mobilità della messinscena che riprende è data da uno svolazzar di tende o dal rapido passaggio di un fugace gattino. Non c'è un primo piano, gli attori vengono ripresi da lontano, spesso con il viso in ombra o in un transitorio profilo. Quali simbolici significati si celino dietro queste celte stilistiche è arduo comprenderlo anche perché la storia è sviscerata solo tangenzialmente non brillando l'opera neanche per la facondia dei dialoghi.

Hou Hsiao-Hsien (raggiunse il successo nel 2001 con "Millenium Mambo") comunque, pur nell'estrema lentezza del ritmo narrativo, mostra di avere l'occhio giusto nell'apprestamento della messinscena nella quale il gioco di luci ed ombre di una attenta fotografia diventa fondamentale. Come fondamentale è l'apporto degli attori chiamati ad una prova durissima data la teatralità dell'opera. Yo Ito, al debutto cinematografico, è la bella Yoko mentre Hajime è interpretato da uno degli attori giapponesi più gettonati del momento. Parliamo di Tadanobu Asano ("Zatoichi") già presente alla Mostra del cinema di Venezia in "Vital" di Shinya Tsukamoto.

Daniele Sesti

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