The Back
"Sono cresciuto in un ambiente politico, dove tutto era incentrato sulle difficoltà del popolo, problemi sociali e comunismo. Oggi, dopo vent’anni, gli argomenti principali sono business, mercati e capitalismo".
A parlare è Liu Bingjian, il quale, a sei anni da "Chun hua kai" (2004), torna dietro la macchina da presa per il suo quinto lungometraggio che, aprendo con l’immagine di un bambino picchiato dal padre, intende esplorare i limiti dell’umanità nel mondo contemporaneo, in cui la Cina è stata scaraventata violentemente dalla Rivoluzione Culturale alla riforma contemporanea.
Ed è partendo da un racconto di Jing Ge che porta sullo schermo la vicenda dell’affascinante trentenne Hong Tao alias Hu Bing, gestore di un ristorante di classe nella Pechino degli anni Novanta, che vorrebbe rinnegare e cancellare le tracce della pesante eredità del genitore, pittore ufficiale del Presidente Mao, il cui fervore iconografico, ai tempi della rivoluzione culturale, si tramutò in ossessione tanto da spingersi a tatuare pelli umane.
Quindi, mentre avidi collezionisti senza scrupoli, tra cui anche i vecchi amici del ragazzo, si rivelano pronti a tutto per denaro, quelli che popolano i circa 85 minuti di visione altro non sono che personaggi mai esistiti atti a rappresentare la visione della società e ciò che ha vissuto la generazione del regista, rimasto sbalordito dall’idea dell’autore sui dipinti di Mao su pelle umana.
Ma, quella che vorrebbe apparire quale rilettura contemporanea e noir delle crudeli follie legate alla rivoluzione culturale maoista e che qualcuno (chissà per quale motivo) ha annunciato come horror totalitario dagli occhi a mandorla, non impiega molto tempo a rivelarsi di difficilissima comprensione, a causa sicuramente della maniera troppo personale attraverso cui Liu Bingjian trasferisce su celluloide il proprio sentimento provato nei confronti del periodo storico in questione.
E non sono certo i lenti e tutt’altro che coinvolgenti ritmi di narrazione a giovare ad un prodotto che sembra capace di lasciare nella memoria dello spettatore soltanto la varietà cromatica sfoggiata da scenografie ed oggetti scenici, immortalati dalla camera in una serie d’inquadrature facilmente accomunabili ad un’affascinante sequela di quadri.

La frase: "La nostra guida è il Partito Comunista Cinese".

Francesco Lomuscio

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