Baciami piccina
Voci di corridoio affermano che sia stato proprio su "Baciami piccina" che Medusa si sia scontrata con l'organizzazione del 63° Festival di Venezia. Muller & Co. Non gli avrebbero garantito la giusta visibilità, e così la casa distributrice per ripicca ha levato tutti gli altri film (italiani e stranieri) che avrebbe dovuto portare e presentare in Laguna.
Che poi, a ben guardare, un legame tra il film ed il capoluogo veneto c'era proprio nella sceneggiatura. E' infatti lì che i tre protagonisti della storia devono arrivare perché il film finisca. Parliamo infatti di un film "on the road", anche se il termine americano forse poco si sposa con l'ambientazione della vicenda. Siamo infatti in Italia, è intorno al 7 Settembre del 43', quando l'armistizio era pronto per essere annunciato e ad un carabiniere abruzzese (Neri Marcoré) veniva assegnato il compito di scortare un truffatore (Vincenzo Salemme) fino al carcere veneziano. Un compito all'apparenza semplice, tant'è che la da tempo fidanzata del gendarme (Elena Russo) decide di aggregarsi per farne una gita di piacere. Non tutto però va secondo i piani...

Cari ignari spettatori...Pensate che il binomio Vincenzo Salemme-Neri Marcoré non possa che cercare di regalarvi risate ed invece eccoli che girovagano per la disastrata Italia del '43 dispensando aforismi e perle di saggezza popolare in un clima che non sarà certo drammatico (a parte la coda finale), ma non è neanche comico (come anche il titolo, quel "Baciami piccina" che cita la canzone di Alberto Rabagliati, lascerebbe presumere). Nulla di male, ci mancherebbe, se non fosse che questa commedia alla Pupi Avati che con il pretesto di un viaggio vorrebbe raccontarci come eravamo e quanto in un periodo così delicato fosse importante schierarsi e non lavarsi le mani di quanto accadeva, finisce col mancare entrambi gli obiettivi. Troppo stereotipati sono i tre protagonisti, vittime ognuno del proprio ruolo che li imprigiona in atteggiamenti senza futuro (solo nel personaggio di Marcoré c'è evoluzione, ma poco approfondita), troppo superficiale è il ritratto di un popolo disorientato dalla fuga del re e gli ex alleati, ora nemici, in casa propria. Chiaro che un poco si cerca di ripescare nella tradizione della commedia all'italiana, su tutti quel "La grande guerra" che metteva accanto Sordi e Gassman, ed effettivamente alcuni siparietti strappano il sorriso, ma tutto pare poco spontaneo (eppure l'idea di partenza era del compianto Segio Citti) così come la colonna sonora risulta invasiva ed eccessivamente didascalica.
Bravi (nonostante i limiti della sceneggiatura) gli interpreti, su tutti quel Vincenzo Salemme che quando non si mette dietro la macchina da presa, risulta sempre un artista con la A maiuscola (autore teatrale e attore).

La frase: A cosa si ubbidisce se non c'è nulla cui ubbidire?

Andrea D'Addio

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