A.I. - Intelligenza Artificiale

Difficile collocare questo lavoro, che tutti sappiamo essere una sorta di testamento di Stanley Kubrik, in una precisa nicchia. Di certo il Maestro avrebbe realizzato qualcosa di diverso: più duro, più graffiante... più vero, mentre Spielberg ci ha posto davanti una favola dai toni "morbidi", facilmente leggibile sia dal pubblico adulto, che da quello più giovane.

In un prossimo futuro su una terra ormai priva delle sue calotte ghiacciate e con la popolazione umana decisamente ridotta da drastici controlli delle nascite, i robot, o meglio i "mecha", hanno ormai affiancato gli uomini (gli "orga") nei lavori e nella vita quotidiana.
Alla ricerca di una sempre maggior perfezione dei processi cognitivi di questi robot, il professor Hobby (William Hurt qui finalmente giunto alla sua "Fine del Mondo") realizza David (Haley Joel Osment / "Il Sesto Senso") un perfetto bambino "mecha" che viene affidato ad una famiglia della Cybertronic, l'azienda produttrice. Monica (Frances O' Connor / "Windtalkers") ed Harry (Sam Robards / "American Beauty") Swinton lo adotteranno come fosse il loro figlio perduto, o quasi.

La pellicola si divide in tre distinte fasi narrative, tre generi anzi quasi tre episodi a se stanti, ricuciti insieme dalla maestria di Spielberg. La prima parte con la vita familiare di David ricorda "D.A.R.Y.L." (film degli anni ottanta dalla tematica simile) ed approfondisce la difficoltà, soprattutto da parte degli umani, fossero anche gli stessi genitori di David, di accettare un robot, o meglio un "diverso", all'interno della loro società.
Nella seconda ci troviamo di fronte ad un vero e proprio "road-movie" con David, alla ricerca di una chimera, che attraversa ciò che rimane del mondo confrontandosi sempre con il problema sociale dell'accettazione, non per niente il suo accompagnatore-mentore è un robot gigolò (Judie Law / "Gattaca"). Anche la fotografia sottolinea chiaramente questo cambio di ritmo: passiamo da toni molto caldi spesso di giorno con rappresentazioni attraverso vetri e specchi - come a sottolineare il disagio nell'affrontare direttamente la macchina - ad ambientazioni prettamente notturne con colori sgargianti, quasi sparati, ed affollate da mille personaggi.
L'ultima parte, infine, è un vero e proprio omaggio a Kubrick ed a "2001 Odissea nello Spazio" (casualmente anno di rilascio del film): bianco dominante, atmosfere oniriche ed eteree, un senso quasi di intangibilità e analisi dell'inconscio.

La trama sviluppata, da Spielberg sulla scorta della traccia delineata da Kubrick prima della sua morte, mette parecchia carne al fuoco, forse troppa. Dall'analisi dei rapporti all'interno della società umana e della famiglia, alla stigmatizazione di figure che fanno leva sul demagogismo (la fiera della carne) fino alla critica di una società troppo consumista e lontana da valori più "sani". Il "file rouge" del tutto resta comunque il mito di Pinocchio sviluppato su due livelli sovrapposti: la novella che spinge David a cercare di diventare umano per compiacere i suoi genitori più che se stesso, ed il secondo costituito dalle situazioni da lui attraversate nel suo viaggio iniziatico: la ricerca del suo Geppetto attraverso il circo di Mangiafuoco (lo spettacolo di distruzione) e la balena (La New York "affogata" dove si trova Hobby).
La morale finale non può che essere positiva, in realtà ciò che ci rende unici è quello che abbiamo dentro e non il nostro aspetto.

Tecnicamente "A.I." è ineccepibile, scenografie accattivanti per un futuro che non sembra neanche così lontano. Uno studio impressionante sulla moltitudine di robot diversi che ci vengono presentati; alcuni talmente perfetti che soltanto la natura leggermente lucida della loro pelle riesce a farci capire la loro vera identità ed in primis Osment un bambino che sembra ormai un attore navigato. È la sua costante credibilità, dai movimenti impacciati dell'androide appena attivato alla fluidità acquisita poi attraverso l'esperienza, la vera forza del film. Stupefacente.

Un paio di appunti: forse l'idea del mito del "sogno" come umanizzazione è un pò vecchiotta (Philp K. Dick ci aveva già pensato nel racconto da cui è stato tratto "Blade Runner" - "Do Androids Dreams of Electric Sheep?") e c'era poi così bisogno di creare un nuovo termine per l'uomo artificiale non bastavano i vari androidi, sintezoidi, replicanti, robot, ecc...

La chicca: Kubrick pensò a Spielberg come realizzatore del film non solo per la stima nutrita nei suoi confronti, ma anche in considerazione del suo maniacale perfezionismo. Per girare la pellicola gli sarebbe infatti occorso, vista la sua proverbiale lentezza, circa un anno, periodo in cui il protagonista, un bambino appunto, avrebbe subito radicali cambiamenti fisici. Spielberg, al contrario avrebbe potuto realizzare il film in un paio di mesi al massimo (infatti lo ha completato in 63 giorni).

Curiosità: purtroppo le "Twin Towers" non si sono salvate dal tempo come Spielberg ci mostra nella Manhattan del futuro.

La frase: "Per favore fammi diventare un bambino vero!"

Indicazioni:
È l'ET del 2000, non si può quindi non vederlo.

Valerio Salvi

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