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A Boy Called Dad
La sorpresa della quarta edizione del Festival del Film di Roma ce la consegna l’inglese Brian Parcival con il delicatissimo "A boy called dad", pellicola capace di arrivare dritta al cuore e comunicare con tutti.
Liverpool, oggi. Il quattordicenne Robbie vive con la madre e la sorellastra dopo che suo padre li ha abbandonati. E’ di carattere buono anche se, come molti suoi coetanei, non sa dove indirizzare la propria energia. L’occasione gli si presenta un giorno e per puro caso. Infatti, dopo aver assistito a una lite furiosa, Robbie prende il figlio della sorellastra e lo porta via. Comincia così un viaggio nel cuore di tutte le emozioni: quella di essere genitore...
Senza girarci troppo intorno, "A boy called dad" è uno di quei rari film capaci di comunicare emozioni universali in modo autentico. Il regista Brian Parcival gioca con l’intimità e riesce nel difficile intento di mostrare gli animi dei personaggi. Infatti, pur con una sceneggiatura fatta per lo più di silenzi, in "A boy called dad" ogni scena rappresenta un passo in avanti verso la maturità e la crescita.
Quella del piccolo Robbie, e quella dell’ancor più piccolo bambino che porta con sé. Forte, coraggioso e con un finale imprevedibile, "A boy called dad" meriterebbe di essere visto da tutti.
Incredibilmente bravo l’interprete principale Kyle Ward che cattura con la propria performance tutte le sfaccettature dell’ipotetico ragazzo – padre che, improvvisamente, si ritrova adulto e consapevole della propria umanità.
La frase: "Posso tenerlo".
Diego Altobelli
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