28 Settimane Dopo
Insieme a “Resident evil” (2002) di Paul W.S. Anderson ed il successivo “L’alba dei morti viventi” (2004) di Zack Snyder, “28 giorni dopo” (2002) di Danny Boyle va sicuramente considerato tra i titoli che, in maniera fondamentale, hanno contribuito al grande ritorno dei cadaveri a passeggio sul grande schermo, dopo il triste mortorio (non potevamo usare altro sostantivo) che aveva caratterizzato la produzione cinematografica zombesca degli Anni Novanta.
Con evidenti riferimenti a “I’m a legend” di Richard Matheson – già fonte letteraria d’ispirazione per “L’ultimo uomo della Terra” di Ubaldo Ragona e Sidney Salkow e per “1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra” di Boris Sagal –, il film di Boyle, incentrato su un manipolo di sopravvissuti che, in una Gran Bretagna completamente deserta, si trovava a dover fronteggiare un’orda di aggressivi cittadini contaminati da un virus trasmettibile attraverso l’emoglobina, ha ora una continuazione a firma dello spagnolo Juan Carlos Fresnadillo, regista del thriller “Intacto” (2001).
Fuori il protagonista originale Cillian Murphy (“Batman begins”), dentro Robert Carlyle (“Full monty-Squattrinati organizzati”), si riparte sei mesi dopo gli eventi narrati nel primo film, quando l’esercito degli Stati Uniti, convinto di aver sconfitto l’infezione, contribuisce al ripopolamento di Londra ed inizia a creare una zona di quarantena, senza immaginare minimamente, però, che uno dei profughi ritornanti sia a sua insaputa vittima del virus.
E l’autore di “Trainspotting” (1996), insieme al compagno di avventure cinematografiche Alex Garland (sceneggiatore di “28 giorni dopo”, tra l’altro), si occupa soltanto della produzione esecutiva di quello che, a partire dalla situazione d’assedio pre-titoli di testa, si presenta nelle vesti di movimentato prodotto all’insegna dell’intrattenimento puro, il quale, più che il romeriano “Il giorno degli zombi” (1985), cui guardava la pellicola precedente, sembra omaggiare in diverse occasioni i due “Dèmoni” di Lamberto Bava.
Quindi, l’impostazione quasi autoriale che aveva caratterizzato il capostipite, costruito su lunghi momenti d’attesa e non privo di una certa poesia, viene abbandonata in favore di fughe senza fine e della maggior fisicità concessa agli pseudo-zombi dagli occhi rosso sangue, con un notevole aumento dei personaggi ed una macchina da presa impazzita che immortala il tutto.
Ma proprio questo eccesso di virtuosismi tecnici, a metà strada tra il videoclip ed il servizio giornalistico, rischia più volte di distrarre lo spettatore dinanzi ad un classico sequel che, sfruttando le basi poste dal capitolo da cui prende le mosse, si concentra sull’azione e sullo splatter, scandito da un buon ritmo ed infarcito di sequenze memorabili (si veda il momento in cui l’elicottero falcia gli infetti), mentre non troppo celate appaiono le fattezze di ponte di celluloide posto tra il primo ed un probabile terzo tassello.

La frase: "Fase 1: uccidere gli infetti; fase 2: contenimento; se il contenimento fallisce, fase 3: sterminio totale".

Francesco Lomuscio

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