24 battute
Un lungo incubo buio in cui si dibattono quattro giovani esistenze in caduta libera, senza famiglie, appigli e futuro. Maschi e femmine figli di nessuno, con genitori ridotti dalla malattia allo stato vegetale, o ipnotizzati davanti alla TV col bicchiere in mano, o ancora oggetto delle invettive del sangue del loro stesso sangue. Notte della vigilia di Natale, quella della nascita, della discesa sulla terra del pargolo del dio del cristianesimo, quando la società occidentale si immagina più buona e generosa. Ma di cui si percepiscono solo i flebili riflessi in uno scampanìo in lontananza e in una chiesa vuota, mentre uno dei personaggi bisbiglia preghiere col rosario in mano e poi urla il proprio dolore esistenziale.
Lui e gli altri sono creature schiacciate tra Eros e Thanatos: da una parte ambivalenza sessuale, libido che non aspetta, coito sfociato in pianto, a dall'altra fine che arriva voluta senza preavviso oppure casuale e coi tempi che le occorrono. La socialità è offerta da un sedile di taxi, un locale di spogliarello, una discoteca di balli e pasticche. Ci si urta distrattamente come storni in volo che danno vita a figure in continuo movimento, prive di direzione. Incontri intensi per poi lasciarsi poco dopo, per sempre e senza conservarne memoria, perché dietro l'angolo può esserci il nulla eterno o un nuovo amore passeggero.

"24 Mesures" segna il passaggio alla direzione di un lungometraggio dell'attore Jalil Lespert ("le Passeggiate al Campo di Marte", "Risorse umane"), già spostatosi dietro la macchina da presa con il corto "De Retoru", presentato in diversi festival. Lespert ha una messinscena potente, nichilista e disperata. Anima i protagonisti di una vitalità reattiva, forzata e selvaggia che grida al cielo, ad un aereo in volo sopra la testa il suo impeto prima di farsi saltare le cervella. Con attori in libertà e una scena finale emblematica e agghiacciante.

Federico Raponi

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