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2001 Maniacs
Presenti anche in ruoli marginali, non potevano essere altro che Eli Roth e Scott Spiegel – rispettivamente regista e produttore esecutivo dei due "Hostel" – a comparire tra i finanziatori del primo lungometraggio di Tim Sullivan (già co-sceneggiatore del gorissimo "The deadly spawn"), basato su quel "Two thousand maniacs!" che, rozzamente diretto nel 1964 dall’artigianale papà dello splatter Herschell Gordon Lewis, si costruiva su un soggetto anticipatore di almeno un decennio degli elementi cardine del filone slasher, iniziato da titoli come "Black Christmas - Un Natale rosso sangue" e "Halloween-La notte delle streghe" e principalmente incentrato su una sequela di fantasiosi omicidi.
Non a caso, se nel film di Lewis erano sei turisti a finire nelle sadiche mani degli abitanti di Pleasant Valley, cittadina a quanto pare rasa al suolo un secolo prima durante la Guerra di secessione, lo script per mano dello stesso Sullivan in coppia con l’esordiente Chris Kobin tira invece in ballo un gruppo di giovinastri in vena di sesso e goliardia, carne da macello prediletta del sottofilone rinverdito tra il secondo e il terzo millennio dalla saga di "Scream".
Perché, con l’immancabile Peter Stormare ("I fratelli Grimm e l’incantevole strega") rilegato in una piccola parte da professore e il mitico Robert Englund (occorrono presentazioni kruegeriane?) nei panni del perfido sindaco Buckman, con tanto di benda all’occhio raffigurante la bandiera sudista, è sostanzialmente attraverso il look di un moderno slasher-movie che viene filtrata l’idea originale del 1964, comprendente anche l’impressionante omicidio di una vittima legata con i quattro arti ad altrettanti cavalli indirizzati in diverse direzioni.
E, al di là dell’evidente metafora politica relativa ai contrasti tra nord e sud, non manca neppure la venatura ironica, ovviamente aggiornata secondo i canoni attuali, mentre, tra aggiunta di tette al vento ed abbondanti spargimenti di liquido rosso (nel calderone delle uccisioni abbiamo anche un impalamento e un’evirazione a morsi), l’estrema godibilità del prodotto ci lascia tranquillamente intuire che è proprio questa la tipologia di remake di cui si sente il bisogno.
Una tipologia di remake volta non solo a valorizzare interessanti soggetti in passato alla base di poveri prodotti spesso bollati come trash, ma anche e soprattutto a portare all’attenzione dei giovani e giovanissimi spettatori tutti quegli oscuri e dimenticati titoli che, a loro insaputa, hanno contribuito in maniera più o meno fondamentale alla crescita del genere.
La frase: "Chi non impara la storia è destinato a ripeterla".
Francesco Lomuscio
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