Wild Side
Stéphanie vive in un modesto appartamento di Parigi insieme a Djamel e a Mikhail. Un giorno riceve una telefonata: sua madre, che vive nel nord della Francia, ha bisogno di cure e lei deve andare ad aiutarla. Inizia il viaggio, e accanto a Stéphanie ritroviamo Djamel e Mikhail. Tutti e tre si trasferiscono in un paesino semi disabitato della campagna francese, dove sembra quasi che il tempo si sia fermato agli anni '70 e qui, al riparo dalla frenesia della grande città riescono finalmente a riflettere sulle scelte di vita che hanno fatto, a volte in modo consapevole, altre volte spinti dal bisogno.
La storia di questi tre ragazzi potrebbe essere una storia qualsiasi, e per molti versi lo è, ma le loro vite sono molto più complicate di quanto si possa credere. Stéphanie, in realtà si chiama Pierre. È un transessuale indipendente e sicuro di sé che per vivere fa la prostituta. Djamel, per uscire dal "ghetto" nel quale vive la sua povera famiglia, cerca clienti di ogni tipo nelle toilette delle stazioni, Mikhail è un disertore dell'esercito russo, un boxeur clandestino che si adatta a fare qualunque lavoro in nero per sopravvivere. I loro universi si incontrano quasi per caso, e la loro convivenza diventa un punto di forza per tutti. Ognuno, a modo suo, e grazie agli altri due, cerca di affrontare la quotidianità, di non lasciarsi schiacciare dai sensi di colpa, dall'insoddisfazione, dalle mille paure che ogni giorno si ripresentano, sempre più tangibili e sempre più cupe. I loro mondi, così diversi eppure così vicini, si fondono senza pregiudizi né conflitti.
Non è un film sul mondo omosessuale, né un film sulla perdizione, né sulla "redenzione". È piuttosto un film sulla nostalgia e sugli affetti. È un film triste, a tratti crudele, ma che riesce a raccontare in modo intenso frammenti di vita reale. È un film che eleva all'ennesima potenza quell'integrazione di cui i Francesi si dicono (giustamente) portatori. È la dimostrazione pratica che non è impossibile parlare di argomenti poco "delicati", basta avere garbo e modo. Le scene di sesso ci sono, le inquadrature scabrose anche, ma chi vorrebbe definirlo un'opera voyeristica si sbaglia di grosso. Non ci sono buchi della serratura da cui spiare atteggiamenti scabrosi, non ci sono inquadrature maliziose.
A me non è sembrato assolutamente un film poco ortodosso. Sarà perché ho visto sullo schermo una ragazza accudire sua madre con una dedizione di cui pochi sono capaci, o un ragazzo inventare scuse banali e stupide per giustificare a sua madre le sue scelte di vita, o ancora un omaccione grosso e nerboruto piangere al telefono nel sentire la voce della mamma lontana, ma a me questo racconto è piaciuto, l'ho trovato toccante e tenero. Se poi le storie raccontate sono per tanti versi lontane dalle mie esperienze, che importa? Chi stabilisce cosa è la "normalità"? E perché tutti dovremmo adeguarci a tale e indefinita definizione? Credo che in fondo ognuno di noi ha un lato selvaggio da liberare...ma questo non significa prescindere o opporsi a ciò che è "normale", è solo un'altra via...

Teresa Lavanga

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